Èl sgner Pirein/Èl scioper di furnar

Èl sgner Pirein/  (1920) 
by Antonio Fiacchi
Èl sgner Pirein

ÈL SCIOPER DI FURNAR edit

Sicuro, vado per prendere il pane... perchè bisogna che sappino che in esequie all'asioma di M.me Pampadur che: A faire les zatins de la maison on ne se sporch pas le mains, io la mattina vado a fare quelle piccole provviste che nessuno se ne accorge nemmeno, perchè quanto si ha il suo bravo fazzolettino da mettercela dentro, voglio vedere chi la vede. L'è zert che se uno si mette a far l'enalisi vedendo che dal fagottino saltano fuori i selleri, o èl col dell'impolina dall'olio, allòura potranno dire quello è uno che ha la serva indisposta, mo per la maggioranza che vanno dilungo per il suo viaggio e non si perdono in quei 15 quattrini, pari a soldi 3 e frazione, il fagotino passa inosservato e il decoro della famiglia resta invulnerabile.

Dunque l'altra mattina vado per prendere il pane, e il sig. Giovanni che è tanti anni che ci vado, al fa al dice:

— Caro sig. Pierino, per oggi bisogna far senza!! E fava il disinvolto ridendo, mo as capeva che riddeva coi dolori al ventre comme si suol dirsi.

— Senza di che? a vleva dir, ma dando un'occhiata all'ingiro scopro il pane che non c'era!!

— Cossa è suzzèss?! L'hanno forse valigiato?!

— Ah, è lo sciopero dei lavoranti.

— E daila! Mo questo è un bel incalio, perchè in questi giorni di sudore, con rispetto, della fronte, cossa deve bagnare l'operaio onesto se non ha il pane?!

C'era li un signore che rimase statico a questa giusta riflessione, e mi disse: bravo! lei deve proteggere il proletariato, deve riconoscere il dovere degli ambienti di darne a quelli che non ne hanno...

E mentre diceva accossì, am n'accorz che aveva seco una donina colla sporta che ci saltava fuori un bel bastone di pane lungo e grosso comme il mattarello della spoglia, e allora a faz a degh:

— Bravissimo, questi sono di quei sentimenti che non si trovano in tutti gli usci, e allora mi faccio ardito di chiederci la metà di quel pane che io non ho.

— Ah, questo che qui è mio, e se lei ne vuole se la distrighi, e vî che al vultò, lasciandomi col palmo nel naso comme si suvol dirsi.

— Ohi! faccio io, al par che i fatti non corrispondino alle parole... ma caro èl mî sgner Giovanni, lasciando da banda gli scherzi, comme debbo fare a cibire la famiglia?!

— Vadi nella Borsa che ce n'è per castigo! dess una duneina che ne aveva in braccio una tira che pareva un pargoletto.

— Se crede si facciamo compagnia, mi disse un galantuomo che passava, anch'io ho bisogno di pane.

— Mo ben volentieri, aggiungo io, cossì si facciamo compagnia.

Quando siamo fuvori, il mio amico mi dice:

— Io ci debbo confidarci un segreto, che neanche l'aria lo sa.

— Facci conto di parlare con quella muraglia che lì.

— Sappia che lo sciopero durerà chissà quanto, e purtroppo finiremo per morire tutti di fame!!

— Mo lui scherza! a fazz me, che mi veniva in mente la vignetta del sig. Conte Ugolini.

— Scherzo?! Vedrà bene! Mo ci conta sopra lei alla Borsa?

— Oh Dio! per quel poco che cè dentro...

— Parlo del pane che oggi vendono là.

— Ah, non crede che duri?

— Ma che! adesso se va là non ne trova più neanche un grostino, ed è finito per sempre!

— Mo sa che lei mi fa pavura sul serio — se dovessimo morire di fame, mi dispiacerebbe.

— Non abbia pavura che sono qua io. Sappia che io ho modo in tutta secretezza di farci avere il pane vitta natural durante, ma a patto che non lo dichi con nessuno che sarei compromesso.

— S'accomodi, a fazz me sòuvra pensir — stia certo che l'è l'istèss ch'al dscòrra con un fittòn, come sopra.

— Bene dunque: lei riceverà sino a casa giornalmente il pane che ci occorre pei suvoi bisogni, di ottima qualità e sino che dicca basta.

— Ma lei è il nostro salvatore. L'averto che per la Lucrezia ci vuole di quello tenero perchè l' ha pers, ha smarriti, diversi denti.

— Non dubiti che sarà servito. E quando ce ne abisogna al giorno?

— Oh, siamo in tre, compresa la figlia che il nervino ci toglie l'apetito, sicchè con 3 soldi campiamo tutta la giornata.

— Va bene, mi favorischi il suvo indirizzo e l'ora del pasto...

— Vicolo Tentinaga, n. 3, colazione alle 12, pranzo alle 6.

— Benone. Adesso lei mi anticipa 5 franchi e accosì si assicura il vitto per un mese. — Lasci pure che vengano tutti i scioperi.

— O comme ci sono obbligato, che garbata persona. E così dicendo ci consegno un buvono da 5 franchi, che in quel momento, non mi vergogno a dircelo, era tutta la mia sostanza; mo boschera! si trattava d'assicurarsi l'esistenza e non si poteva far di meno!

— E, dissi poi io: per oggi comme faccio, chè a casa m'aspettano colla spesa?!

— Non ci pensi, che fra mezz'ora riceveranno il pane pattovito, e così di seguito... mo mi raccomando che non dichi che ce lo finisco, potrei andare incontro a dispiaceri, lui mi capisce!

— Lo capisco tanto che ci sono finitamente obbligato, e arrivedersi.

Lui gentilmente mi striccò la mano e io pian piano me ne andai verso casa, guardando con aria di compassione, tùtt quî dsgrazià che correvano alla Borsa a cumprar èl pan — anzi trovai la serva degli aquilini che stanno lì disopra e a fazz a degh:

Ohi Carolina, duv curriv con qla speinta?!

E lî, che parla il taliano la fa: — Mi tocca di andare fino in Palazzo che dice che cè il pane...

Io mi gettai a riddere e ci feci vedere il fazzoletto della spesa vuvoto.

— Comme non ne ha aritrovato?!

— Mah! Io spero che me lo portino fino a casa...

Quella matazola si mise a riddere anche lei, dicendo: Il sig. Pierino ne ha sempre delle fresche... e via che scappò.

Allora capî la fortuna che avevo avuto e quant a fo a casa, quelle donne mi vennero incontro: Babbo ai preso i radicci pel canerino?! e il latte, e la bistecca per la nemìa e io senza parlare distendo il fazzolettino vuvoto come il cielo l'aveva creato!

Eh! quell donn!! non è possibile descrivere lo strillo che fecero!

— Mo t'arà pers èl giudezzi!! Dseva la Lucrezia che si sentiva la languidezza e che aveva la cogomina del caffè di janda in bollorre.

— Ah! babbo, io vengo meno dal finimento di stomaco, ripeteva la povera Ergia, che aspettava il latte munto dalla bestia; un soldo ci dura quattro giorni.

— Calma, calma, faccio io, perchè grazie al cielo siamo tutti di carne, e se faccio senza io che sono il capo di casa, a crèdd che per un giorno potiate fare altrettanto.

E qui ci venni a spiegare tutta la faccenda della sventura cittadina dello sciopero e del pane nella Borsa e della minaccia di morir di fame.

E l'Ergia andava dicendo: Ebbene se non c'era pane, perchè non hai comprato il resto...

— Del Carlino, a fazz me, per tenerla ilare...

Ma lei che ha la nervalgia, e si arabisce per niente, grida:

— Io dicco perchè se non c'era pane non hai preso altre vettovaglie?!

— Perchè cara mia, se mi lasciaste parlare, quando parlo, sapreste che per assicurarci la vitta in questi giorni il quale molti saranno costretti a morir di fame, io ho speso i 5 franchi...

— Senza portare a casa neppure una festucca di cibo?! Esclamò l'Ergia indignata in causa dei finimenti che ne soffre molto.

— Se hai pazienza, vedrai che avremo il pane fresco e abbondante...

— Chi lo deve portare?!

Allora raccontai tutta la storia di quel dabben uomo, che ci aveva salvati da sicura morte, e la mia previdenza nell'assicurare il pane per un mese.

— E comme si chiama questo vomo?! mi domanda la mî ragazzola, che è furba più dei sette furbi!

— Oh, questo mo non ce l'ho domandato — mo adesso quanto viene a portare la razione di oggi, ce lo domando subito.

E qui si dà la fatale combinazione, che si muove la sbadiglieria in famiglia.

L'avranno provato anche loro, che quant'uno comincia l'altro attacca e così di seguito sino alla settima generazione.

E d'altra banda non ci poteva darci torto, l'era da quell'altro giorno alle 6 che an aveven guastà, sciupato, il digiuno, e un po' di fame si faceva sentire.

— Come tarda! Andava digand l'Ergia fra un sbadacc e ql'alter!

— A cminzipièin mal, dseva la Lucrezia, la puntuvalità è la prelogativa dei Sovrani...

— Però spendere tutte le 5 lire hai fatto male.., cossa si mangia poi col pane!

— Mo fiola mî! e grazia che ci sia questo, che l'è il capo senziale. Èl pan sùtt al fa i bî pùtt!

— Mo se non cè neppur questo!

— Abbi pazienza che arriverà...

                  *       *       *       *       *

È già notte, e an s'è vest endson!!! Il languore è al colmo...

All'Ergia cè venuto uno smalvino. Li abbiamo dato da nasare dell'aceto romantico, che ci regalò un modenese... Dà qualche lontano segno di vitta...

Si vedde che quel galantuomo ha perduto l'indirizzo!

L'Ergia fa un urlo improvviso che ci fa venire la pelle ochina a tutta la famiglia:

— Babbo, avrei fame!

— Ah fiola mî, anch'io — ma se non si vede: chi ne ha la colpa?...

Anche a io comincia a capogirare la testa dalla debolezza... le mie donne fanno già carozino, la vista si infusca; sempre più mi sento venir meno!...

Tersuà a lòur sgnòuri.


Dall'_Ehi! ch'al scusa... all'Esposizione_, 18 agosto 1888.