Èl sgner Pirein/Giurì pel vino
GIURÌ PEL VINO
edit(ESPOSIZIONE DI BOLOGNA 1888)
E natoralmente acetai, trattandosi di vino. Dichino pure la verità, non
avrebbero acetato anche loro nei miei pagni?
La lettra la dseva: «Lei è invitato a far parte del giurì che deve giudicare sulla bontà delle bevande vinose, alcovoliche ed arti affini».
Non so comme quei signori del comitato âven savò che nella bevanda non mi tiro indietro, ma po che sia compatente in materia, questo non potrei giurarlo. Sicuro che se uno mi presenta ex abruto un bicchiere esclamando: È nero o bianco? Ci rispondo di sì o di no conforme il caso. Basta, è stata una prova di stimma e li ringrazio tanto.
L'altro giorno abbiamo avuto la seduta preparatoria e abbiamo parlato a lungo sòuvra ai biron, che ve ne sono di diverse dimensioni e io dissi una materiolina che fu piaciuta dagli intervenuti; a fazz a degh: Sti biron, che siano mo parenti dèl famòus lord Biron, il poveta inglese?! Per me del resto il più bel sistema di birone è quello che passa il recipiente da parte a parte e, con una caveccia, si assicura dall'altra banda.
Poi pasasimo a oservare i bovinelli e le salvavine, che fanno parte delle arti affini perchè sono l'agnello di congiunzione, comme diceva giustamente un giurì che mi era vicino, fra il liquido esteriore e il recipiente, che va dalla zucca dell'acqua rinfrescativa sino a delle botti accosì grandi che cè fino l'uscio per andarci dentro. Anzi io feci l'osservazione dell'inconveniente di uno ch' se dscurdass l'ùss avert quando cè il vino dentro, e si prese nota per fare l'abiezione al fabricatore. Io ci misi dentro la testa e non vedendoci perchè era buio, esclamai: botte da orbi! comme dice l'averbio. Anche questa riflessione fece efetto e pasasimo ai turacci e bigonzi, tutte cosse che hanno enologia fra di loro e che dicevano: per sapere l'enologia bisogna avèir fatt di studi spezial, farmacisti, ma io lo nego, perchè basta il buvon senso di dire: questo è compagno di questo o si arvisa... ecco che l'è enologich... l'è tant ciar! com dseva quèl ch' bveva dèl brod d'ustarì!
Doppo dessimo un'occhiata al pòndghi, ossia sorcie di vetro, quelle che servano per i travasi che si succhia il vino dalla damigiana per passarlo in un'altra bottiglia, senza bisogno di prenderla per la pancia e rivoltarla, che cè il caso che si sfondi mentre il deposito si dibatte, che è poi per quello che il vino diventa nuvolo e s'intorbidisce... e quanto si va per berlo o fa le filacce o ha preso il punto, che è poi per quello che i toscani dicono: non mi piace _punto_, e hanno ragione.
Dietro le sorcie, si portarono da esaminare quelle altre trombe di latta e quelle di gottaperca che sono le più comode perchè si possono portare anch'in bisacca, un bisogno che uno vadi via a pranzo o vogli bere sèinza tôr sù la butteglia, che ci mette dentro la suva brava canna e sugge quanto ci pare.
Io proposi il premio e venne approvato alla unanimità di tre voti contro sette contrari che votarono per la pòndga di vetro comme sopra.
A dir il vero però a cminzipiava averne piene le tasche di tutti questi assessori, perchè per me quando il vino è buvono e sia mantenuto in recipienti senza fondo, ossia che non facci il testo nella botte, che sia poi dentro a un zuccone o a un fiasco, per me è lo stesso.
Ed infatti entrasimo nella stanza dovve c'era una gran tavola tutta carica di bottiglie, con dei piatti d'olive salate, che è la mia passione tanto mi piaciono, e diversi inservienti con un casetto di tirabusoni, che anche quelli erano da sperimentare e cossì dicasi dei bicchieri che ce n'erano dei grandi e dei piccoli, di quelli verdi per chi soffre di male agli occhi, degli altri rossi per far credere che si beve vino anche quando cè l'acqua e per togliere la vista disgustosa delle mosche che ci cascano dentro.
Dei tirabusoni poi ve ne sono dei graziosissimi. Vi sono quelli che s'introducono senza romper niente coi busanini nella punta che va a pescare nel vino e lo fa venir fuori di sopra e doppo si levano via e si chiude la perforazione con della cera compagna a quella che è intorno al toraciolo, e pare impossibile che si sia già bevuto.
Quello lì serve per i serventi che vogliono bere i vini navigati, senza che i padroni se ne accorghino.
Cè quell'altro che si attacca con due catene al soffitto doppo averlo introdotto nel suvero, poi l'individuo ci si attacca di peso alla bottiglia e giù, punf!
I più semplici erano quelli pei vini spumanti, che non c'erano, perchè il turaciolo salta via da sè.
Quando avessimo finito, assegnando il premio a questi ultimi, ci mettessimo a sedere intorno alla tavola e gli inservienti allòura si fecero avanti e i messen al col a ognuno dei membri, un cartèl con nome, cognome e indirizzo per poter sapere poi dov i s'aveven da purtar, il quale l'ho poi capito doppo, perchè nel momento credetti fosse uso nelle commissioni, per tenere quell'ordine di dire che uno non si debba confondersi con un altro.
Il signor Presidente diede il segnale dichiarando che pr'incû, allora era incû, ma adesso sarebbe un altro giorno, si sarebbero saggiati quattordici fatta di vino, tutte della stessa famiglia e arti affini.
E per fare il parangone di dire questo è più buvono di quello lì bisognava, diceva il signor Presidente, berle tutte 14 in una volta colla divisoria di duve olive cadauna per rimettere il senso palatino allo stato ormale.
E qui cominciò l'assaggio, e uno che ci piaceva dolce diceva: Come è buvono! e quell'altro: Buvono! È una melagna, a me piace il vino grosso di quello che, con rispetto, uccide i vermini ed è stomachevole.
Allora nacquero le diatride perchè dicevano che il giudizio an s'ha brisa da basar sull'amore del vino, ma sulla qualità; che ve ne puvò essere del grosso che abbia meno forza di quello che ha l'uno e l'altro, e cossì per il colore che certuni dicevano il nero non mi piace, invece un altro non ci piaceva il bianco.
Intanto però o nero o bianco, o grosso o sottile, qui si beveva giù a cariolino scoperto... e sebbene in origine fossimo stranieri l'uno per l'altro, fatta cezione per quelli che si conoscevano primma, cominciassimo a prendersi della confidenza e a dire delle materioline uno con l'altro, sicchè un signore vicino a me che aveva vuotato tutti i quattordici bicchieri, mi arrivò all'improvviso uno scopazzone sul ginnasio che aveva il permesso di tenerlo causa la caduta dei capelli.
A dir la verità am n'indspiasè perchè era un ginnasio quasi nuovo, lùster col mio sistema, che quanto è unto sino a metà lo faccio ungere sino in cima, accosì non si capisce più niente; ma il signor Presidente che fava degli omarini sù int la tavla, bagnand el dida nei bicchieri, si gettò a ridere comme un mantecato, e disse: Stia tranquillo che un bel cappello ce lo faccio dare dal Comitato: ne hanno presi tanti!
Io lo ringraziai commosso perchè il vino mi rende tènder d' piccaja, di attacagnolo, e si seguitò a bere.
Il segretario che doveva fare il verbale della seduta, al s' diverteva a tirare nel naso agli intervenuti le anime d'oliva, e beveva senza tener nota del parere che si diceva.
A poch a poch, e bèv e bèv, cominciassimo ad esilerarsi e intonassimo il coro: _O fosco cielo_, _la notte bruna_... accompagnandosi con i pugni sulla tavola, che faceva scodociare i bicchieri e le bottiglie.
Gli inservienti, che avevano bevuto a sorci il collo delle bottiglie che andavano distoppando, si erano esilerati anche loro e ce n'era uno che arrivava dei copponi al signor Presidente, che si era fatto un cappello col regolamento della giuria, e cantava a squarzagola.
Un altro si era estratto la uniforme e cossì in busto di maniche diceva che era Ziotti e giocava al ballone colle bottiglie di vino, insomma bisogna dire che l'unica etichetta che fosse rimasta, era quella incolà nel ventre delle medesime.
E qui si seguitava a bere e a mangiare le olive, io a dire proprio la verità non avevo fatto colazione, perchè credevo che ci fosse lì — perchè a pinsava che mentre si mangia un boccone si beve il vino, e cossì ci sembrerà più saporito — laonde nel mio stomaco c'era appena appena un caffè col latte, senza bagnarci niente dentro, e con èl stomgh acsè vud, tutto quel vino di diverse qualità più le olive, mi fece una brutta burla, cioè che mi girava la testa che a pareva sù int la giostra.
Tùtt j urlaven, sèinza avèir mai fatt j urladur, e insòmma al pareva, brisa l'ultum dè dèl giudezzi, mo ql'alter sùbit quant dèl giudezzi a n'i n'è propri più.
E que il giramento seguitava, sicchè mi tenevo duro alla tavola, mentre gli inservienti favano la corsa dintòuren, e anche loro retribuivano a far crescere il giramento, sicchè am veins una spezia d'un vèil, di una trina, dinanz a j ucc' e confesso che non capii più niente.
* * * * *
Dop dû dè am dsdò e mi trovai nel suo letto circondato dalle cure della famiglia, che mi disse che mi avevano condotto a casa cargà int un fiacher, assistito da due inservienti che dissero d'avèirum truvà int la mùccia, ch' s'era furmà sotto la tavola in unione al signor Presidente, e fortuna che ci erano i cartellini colle annotazioni, altrimenti chissà dove andavamo a finire. Mi dicano quelle donne che stettero in pena perchè a pareva un zoch e ci toccò perfino di estrarmi le scarpe, con rispetto dei lettori gentilissimi; sicchè si temeva d'un colpo popletico.
Ma poi si consolarono quant am mess a cantar: _Eri tu che bagnavi quell'angolo_...
Domani si aduniamo per dare il voto, non ai bicchieri, ma proprio a quelli che sono già stati stabiliti di darcelo, dovve non si sa, ma pare nel salone dei concerti.
Non ci nascondo che a sòn sbumbanà, mi fanno male le ossa, ho la bocca che sembra un pantano. Ma cossa sarà stato? Èl sgner duttòur dice che fossero le olive che ci hanno fatto male, ma me a ritein invezi che sia stato quel po' di vino a stomaco vuvoto.
Basta all'avèin scappà, l'abbiamo fuggita, e sia ringraziato il cielo.
Tersuà a lòur sgnòuri.
Dall'_Ehi! ch'al scusa... all'Esposizione_, 4 settembre 1888.
DALLE RIVE DEL GOLISEO
(ÈL SGNER PIREIN A RÒMMA)