Èl sgner Pirein/La croce del potere
LA CROCE DEL POTERE
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Ah! l'aveva pur rasòn èl poveta quand al scriveva:
«Non è il mondan romor altro che un vento che esce ora da questo ora da quello e muta nome perchè muta il lato!»
Basta am la sòn cavà, com dseva quèl ch'aveva la pirocca, e ne ringrazio il cielo.
An capess davèira, come vi siano di quelli che abbiano l'ambenzione di dire salisco in alto, sono potente... ma io preferisco d'essere impotente e di starmene da bass, se per star sù, an s'ha da seinter che dl'amarèzza, come dseva quèl ch' bveva èl lègn squassi!
Loro hanno già capito che am sòn artirà dalla carica che gentilmente i m'aveven favurè, e che se la tenghino pure tutta per loro, che me ai n'ho avò sagg e caparra... Mo, comme dicevo colle mie donne quand a j eren lè a magnar quèl bcòn da dsnar, dovve è quella beata libertà di dire faccio quel che mi pare e nessuno ci guarda? Invezi, non cè essere più sindacato d'un sendich!
Alla matteina la Lucrezia, andava natoralmente col suvo cabà a far la spesa e tùtt i zercaven di appiccicarci la roba più iniqua che fosse nel mercato! Sono arrivati perfino a venderci del pesse di due settimane primma, che quant la veins a casa al pars che ci venisse il colera... e quant me andò a spalancar el fnèster dal lâ dla piazza, al fo un urel di gioia per parte dei negozianti sottoposti, ch'j urlaven: èl sendich l'ha la banda in casa!
La povra Lucrezia, d'altra part, non ne aveva colpa, perchè nel parto d'Ergia perdette l'uso del naso, che se può andar bene fenna che a s'ha i bambini piccoli, al dvéinta una dsgrazia, comme nel caso attovale, quand si deve acquistare una partida ed pèss!
E queste schernie che dimostrano la baseza dei miei incrati suditi, sono uova e zucchero, in paragòn delle calunnie il quale mi hanno fatto segno da tùtt i lâ. Per darcene una edea smorta, pallida, basta che ci dichi che per l'affare d'aver inavgurato i becchi del gas, mi dicevano: èl sendich di becch, e una note lo venero a scrivere nei muri del Monicipio col pane di gesso.
E questa guerra sorda, per fortuna suva, che almanch non sentiva le ingiurie che mi dicevano, l'am era stà dichiarà dagli impiegati del Comune, i quali lasciati in balìa di loro stessi, dai miei successori baroni, bisògna direl, venuti primma di me, ci dava fastidi che me a fùss andà là, coll'animo liberato di fare il suvo dovere e togliere j abus, gli abuchi, che cè n'erano _sine fidicente_.
Per esempio, j aveven numinà medico condotto, che nessuno poi conduceva, ùn che aveva studiato da ingeniere... di modo tale che io mi credetti in obligo d'intervenire.
Premma però di domandarci che mi mostrasse il deploma medicinale, a ciamò l'impiegato dello Stato Civile, che al s' fava vèdder ogni sette o otto giorni, per sapere quanti morti si avevano...
Prese tempo una settimana perchè era in aretratto, e perchè lavorando in casa, èl ragazzol ci aveva portato via qualche nato e due o tre decessi.
Cossa arêni fatt lòur? Me an al so, mo per parte mia ci aggiunsi ed purtar sùbit tutta la popolazione in Comune e a mettersi subito in corrente, tant da psèir savèir, se non preciso, almanch un zirca, i morti dentro l'anno.
Infatti doppo quindici giorni am purtò una carteina, dov risultava che a lui non risultava nessun morto, però aveva sentito a dire che nel cimitero era stà suplè un omarino, che infatti non si vedeva più a girare per il paiese.
Stabilito quindi su dati statitici che la mortalità non c'era, an vols più vèdder alter e dissi all'ingeniere che rimanesse pure al suvo posto, che fava benone.
Il dazio di sportazione per esempio, non era micca osservato. Tanti donn passaven con la sô brava sporta, e nessuno ci guardava dentro.
A ciamò el guardi daziari e a li amunè; non l'avessi mai fatto! Im saltonn a j ucc' comme duve galletti, esclamando che la sua spezione l'era quèlla di badare ch'in purtassen dèinter di bû viv e delle castellate, e che l'era inùtil guardar al donn nella sporta come sopra.
Mo negli altri siti, comme ci dicevo io, i spunciòunen, punzecchiano, fino i carri del lettame per vèdder che a n'i foss tramèzz, soja me, un rifreddo, o una pasta margheritta, e qui invece danno dei calci idraulici, per vî' d dèl moj ch'j è atach ai stival, a delle sorcenti inesorabili di ricchezza mobile, mo è per quello che siete così in bolletta, e se non vi decidete di fare il fisco anche qui, avrete la bancarotta, com è quèlli del scol comunal, che non cè n'è una che stia più insieme, tanto sono sguinguagnate. Pensate che sono appunto i fischi, l'ultima espressione della vera libertà.
Questo io lo dicevo nel Consiglio Comunale, mo i cunsîr favano orecchi da mercanti, perchè j eren giùst mercant, uno da porci all'ingrosso, ne comprava uno d'ammazzar in dòu volt per averlo sempre fresco, un'alter commerciava in erbagg, mazz ed sulfen, fava mareina, spazzareinn, una specie di bottegajo e quindi quella cossa di dire del dazio ci dava fastidio — e j aveven propost di metterlo, con un articolo che esclodesse i consilieri e gli accessori comunali — e non il Sindaco? a fazz me, dando un pugno sù int la tavla, ma dice uno, lui è estero, non è dei nostri, quindi deve pagare. Capessni che belle edee di govismo di dire a noi sì, a lui no?
Mo, non avevano micca da fare con un subiol, con un flauto, io dissi: mettiamola ai voti, lòur erano duve e i messen int la pgnatta, che favo servire per urna, un fagioleto bianco caduno e me, ne gettai un pugno neri, e quant si fu allo scrotinio di lista, c'era 27 di maggioranza contro duve.
Loro dissero che non era giusta, ma io risposi che nei grandi centri si fa accosì, e i s' messen quiet. Èl purtir al sguazzò perchè, doppo il voto, al s' fe la mnèstra... che era cellente.
Un nuovo cespite di risorsa comunale che avevo pensato di metter su, l'era quèl della Società vespasiana, che essendo un paese convulsivo piuttosto, si potevano fare ottimi affari, mo per farmi dell'opposizione anche in questo, i cminzipionn a tirar in ball i calcol che sono i nemici di tali industrie.
Da qui hanno da capir che strazz, che cencio di una babilogna a m'era andà a tirar adoss; e che an me pseva aritrovar bene. Aggiunghino, per piacere, l'aria che non conferiva alla famiglia, che a j era la mî Ergia che sèimper l'am piulava, mi piallava, perchè la conducessi nel villino, dsevla lî, che ci aveva detto che era nei pressi d'Ùngia ed toch, perchè fra quelle mura telluriche non mi ci si posso veddere, puvreina! La casa poi si capiva che era fatta di fresco, tant es sintêvel a stari dèinter, con un umido, che ci siamo presi tutti dei dolori romantici che l'è un piacere. Dal lato dell'interesse non è possibile che me la cavi, com dseva la Lucrezia che per la colomia domestica l'è nada a posta. E cossa doveva star a fare allora? Ci fù un momento che al pareva che alla ragazza ci fosse capitato un partito, mo sul più bello, l'era partito davèira e lei, poverina, ci venne il magone, come d'uso, che pianse amaramente e disse: babbo, babbo involiamoci da queste mura, che non ci hanno dato che dei dolori tanto interni che di fuori!
Sapendo che i miei buoni amici _dell'Ehi! ch'al scusa..._ mi avrebbero sempre ripreso di nuovo con essi, gettai il manico dietro l'accetta e accettai i consigli delle mie donne, abbandonando l'ingrata unghia tacchina e tornando alla mî Bulògna e nel camerone. È vero che sono senza casa, ma la trovarò; la mî Ergia è feliz, la Lucrezia anche, dunque mettiamosi tranquilli e speriamo in venti migliori.
Io poi ci scrivo tutto questo perchè am indspiasrè che i signori dla _Gazzètta d'Ùngia ed Toch_[2] dovessero menarsi il vanto di dire che sono essi che mi hanno tronizato, perchè non è vero. Si persuadino pure che non mi hanno fatto nè caldo nè freddo. Quel suo organo l'era propri sèinza cann... e se i consir non venivano alle sedute, che tanti volt ho dovuto deliberare io e l'Ergia che fava da segretario, se non si pagano le imposte, che giustamente dicano che non le hanno nelle sue finestre, se gli impiegati comunali in van mai all'uffezzi, se il dazio delle bestie viene mangiato dai cristiani, questo è usanza del paiese, e brisa frut di quel giornaletto, che mi fava compassione e nient'altro.
Am sòn artirà, l'è vèira, ma pr' èl frèdd, pel nervino dell'Ergia, per la mancanza di mezzi, ma non perchè abbia avuto pavura di quegli attacchi poverili.
Torno dunque fra voi a fare il vomo pubblico, ben felice di non essere più al potere che tanti disicanni e amarezze mi ha procurato.
Tersuà a lòur sgnòuri.
Dall'_Ehi! ch'al scusa..._, 3 marzo 1888.