Io era quasi che... morivo

Io era quasi che... morivo
by Bruno Ferroni
ladin anpezan
167492Io era quasi che... morivo — ladin anpezanBruno Ferroni
IO ERA QUASI CHE...
MORIVO

Commedia
di
Bruno Ferroni
(2015)


Personaggi:
Casa di OTELIA
Otelia (madre di Giuseppe, ora al fronte)
Alma, Antonia, (figlie)*
Nene Amabile
Ettore (marito di Amabile, è senza un braccio)
Maria “de chi de Pito”
Agnese “ de chi de tase” (perpetua)
Mario “Piziò” (sacrestano)
Don Antonio Puliè (pievano)
Casa di TONINA
Tonina (moglie di Tino, ora al fronte)
Gigia e Marianna (amiche di Tonina)
Nina “de Bastian de Pona” e Toni “ de chi del Colmen“ (vicini di Tonina)

Il terribile 1917: la guerra infuria sul Monte Piana dove il fronte miete migliaia di vite. Nel ventre delle trincee o nelle fredde baracche addossate alla montagna, qualche soldato scrive a casa.

Nei paesi di fondovalle, come Auronzo, dove la vita delle famiglie trascorreva fra le difficoltà quotidiane, le lettere dell'alpino Tino e del fante Giuseppe, portano un po' di conforto.

(Sulla scena, uno a destra e uno a sinistra, si vedono due gruppi famigliari: quello di Otelia, nella stalla, dove si stava più caldi, e quello di Tonina, nella vasta cucina. In entrambe le famiglie, si sta leggendo la lettera del congiunto, dal fronte di Monte Piana.)

LA FAMIGLIA DI OTELIA

(Siamo nella stalla di Otelia dove una mucca sta lentamente ruminando l'ultimo magro fieno della passata stagione. Con lei, le due figlie, Alma e Antonia, entrambe ormai grandicelle. Il marito, Osvaldo, è morto lasciando al figlio, ora al fronte, l'onere della famiglia.

Poco distante le fanno compagnia alcune comari: nene Amabile con suo marito Ettore, tornato senza un braccio dalla guerra; Maria de “ chi de Pito”, la perpetua, Agnese de “ chi de Tase “ e “l nonzol” (= sacrestano) Mario Piziò.)

LA FAMIGLIA DI TONINA

(Nella calda ed annerita cucina di Tonina, due enormi donnone, Gigia e Marianna, stanno immergendo in un pentolone d'acqua bollente, rivoltandole ogni tanto con un bastone, le divise di due soldati, per far morire i numerosi pidocchi che vi si erano infilati.

I militari, con espressione impaurita, sono rannicchiati vicino al larin (= alare), coperti alla meglio da un lenzuolo.

Nene Nina “ de Bastian de Pona” e Toni “de chi de l Colmen”, con buona volontà e tanto “gei” (= rabbia), strappano con forza un grande lenzuolo, ricavandone lunghe strisce che faranno da benda ai feriti che tornano dal fronte.

Casa di OTELIA

(Avvolti dal tepore dell'ambiente, al lume di una lampada a petrolio, nel silenzio generale, rotto a tratti dal muggito dell'animale, Otelia inizia a leggere la lettera che il figlio Giuseppe le ha inviato dal fronte di Monte Piana.

Il Natale è passato da quasi un mese e fuori la neve da due giorni non smette di cadere. Alma e Antonia sono un po' discoste. Mentre Alma tiene sospesa in aria tra le mani la matassa di lana, Antonia con pazienza va formando un enorme gomitolo) ALMA: ” No te avarae chela de moete co sta aza? Èi belo assei de stà coi braze por aria!” (= Non potresti affrettarti, con questa matassa? Ne ho già abbastanza di stare con le braccia per aria!)

ANTONIA: “ Ce avarae da dì ió, che èi i dede pies de sfendadure a forza de fèi su sti gème de filo?” (= Cosa dovrei dire io, che ho le dita piene di screpolature a forza di riavvolgere gomitoli di lana?)

ALMA: “ Asto proòu a bete su n tin de rasa? Da le ote pó esse che n tin ide.” (= Hai provato a cospargerle di resina? Potrebbe darsi che aiuti un po'.)

ANTONIA: “Ce vosto che fèse la rasa? É sta lanata, ruspia come na paéta, ma coi tenpe che core, é meo tegnì da conto anche le paéte” (= Cosa vuoi che faccia la resina? È questa brutta lana, ruvida come una paglietta, ma con i tempi che corrono, è meglio conservare anche le pagliette.)

OTELIA: (accostandosi al lume e con mani un po' tremanti, ora avvicinandola ora allontanandola dagli occhi, legge non senza fatica ed emozione, la lettera di Giuseppe)

(breve introduzione musicale che va sfumando)

“Cara mamma e care sorelle, è da un po' di tempo che non vi mando mie notizie. Come voi ben sappiate, mi trovo da un po' sul Monte Piana, dove questa guerra pare non abbia più a finire.

Io adesso sto bene, ma mentre vi scrivo, il cannone spara che sembra un tuono e più di uno dei amici che stanno vicino, si stroppa le orecchie con le mani, da tanta paura che fa.”

(si asciuga gli occhi ed abbassando le mani che stringono la lettera, rivolgendosi quasi in atteggiamento di scusa, per qualche “sgrammaticatura” del figlio) “Poreto sto fiol, avon cognù tiriàlo via da scola, che l dèa anche mancomal, cuanche é manciòu so pare e l à nparou chel che l à nparou. Etore, liedè voi, faséme sta creanza, che ió stento, co sti oce, che i à belo piandù assei.” (= Povero questo figliolo, abbiamo dovuto ritirarlo da scuola - andava anche abbastanza benequando è venuto a mancare suo padre. Ha imparato quello che ha imparato. Ettore, leggete voi, fatemi questo piacere, che io stento, con questi occhi che hanno già pianto abbastanza.)

ETTORE: (con l'unico braccio, afferra la lettera che Otelia gli porge e senza indugi continua a leggere) “Ho trovato Mario de le Vare, il cognato del “nonzol...” (il sacrestano alza la testa e si fa più attento, visto che di parenti si sta parlando) “ ... e si è racomandato che dica che sta bene e quel male di testa che non poteva liberarsi è quasi passato e che saluta tutti.”

SACRESTANO: “ Èi proprio a caro, pore tosato. Maria la se tiriarà su n tin, co la savarà che l stà meo.” (= Sono proprio contento, povero ragazzo. Maria si consolerà un po', appena saprà che suo fratello sta meglio.)

ALMA: “ Poreto me fra Bepi, con duto chel che suziede da chele bande...” (= Poveretto mio fratello Bepi, con tutto quello che accade in quei posti.)

ANTONIA: “ Là mo! Autro che le to sfendadure!” (= Questo è ragionare! Altro che le tue screpolature!)

Casa di TONINA

GIGIA: (tergendosi il sudore) “ Ioso, cuanta fadìa co sti vestite!” (= Gesù, quanta fatica con questi vestiti!)

    • MARIANNA: “ Ciò, Gigia., asto mai vedù tante pidioe su n pèi de braghe, come

cheste?” (col bastone, alza un pantalone dal pentolone) “No podeo pi giavàsi, da tante che i era!” (= Senti, Gigia, hai mai visto così tanti pidocchi attaccati ai pantaloni, come questi? Non riuscivo più a levarli da tanti che erano!) GIGIA: “ Asto visto come che i sautaa? Pore tosate, a stà dis ntiere co ste bestie ntornese.” (= Hai visto come saltavano? Poveri ragazzi, stare giornate intere con queste bestie addosso...)

MARIANNA: “E tegnì bota anche a sti todesse che i te sbara contra.” (= E tener testa anche a questi tedeschi che gli sparano contro.)

PRIMO SOLDATO: “Conta i todesse... avessià da vede sti “bosgnàche” (= bosniaci) chi é i pedo!” (= Fosse solo per i tedeschi... dovreste vedere questi “bosgnacchi”, che sono i peggiori)

SECONDO SOLDATO: “ Ce vosto che le sepe, pore femene! Ele ne ida a desfèine dei pidioe, che é belo tanto.” (= Cosa vuoi che sappiano, povere donne! Loro ci aiutano a liberarci dai pidocchi, che è già tanto.) GIGIA: (continuando a rivoltare i vestiti nel pentolone ) “ Avé reson omen: a neautre cogni fèi da femena e da òn... tirià su la famea e guarnà le bestie.” (= Avete ragione uomini: a noi ci tocca fare da donna e da uomo... allevare la famiglia, governare le bestie)

MARIANNA: “... seà le vare, dì a fèi legne e a dota.” (= Falciare i prati, andare a procurare la legna e a raccogliere le erbe selvatiche)

NINA: “Vardà ca l me coredo! Chi avarae mai dito la fin che l avarae fato! Me zia Maria, alora... la se era tanto racomandada che conprone roba bona, nò batarìe... (sospirando, senza interrompere il lavoro )... e le gnòte che èi passou a così sti lenzios...” (= Guardate qua il mio corredo! Chi avrebbe mai immaginato la fine che avrebbe fatto! Mia zia Maria, al tempo, si era tanto raccomandata che comprassimo tessuti buoni, non robaccia... e le notti che ho trascorso a cucire queste lenzuola...)

TONI: “ Tignéve na bona... maridiada... (ironico)... nessun ve à tolesta; alora é meo che sti lenzios no i fese la fin de la parona... e che i serve pitiosto a chi che a pi de besuoi! (= State tranquilla... sposarsi... nessuno vi ha scelta; allora è meglio che queste lenzuola non seguano il destino della loro proprietaria, e che servano piuttosto a chi ne ha più bisogno!)

(Nina apre la bocca per dare la rispostaccia che tanto ardire meritava. Rimane con la bocca aperta e con il dito alzato a mo' di minaccia, quando entra con passo lesto Tonina. Cerca di dominare un moto di contentezza mentre mostra alle due donne, alzandola sopra la testa, una lettera appena ricevuta)

TONINA: “ Á valù ben la pena de preà con devozion la Madona del Carmen... (respira a fondo) ... à scrito Tino.” (commossa, bacia la busta) (= E' valsa proprio la pena di pregare con devozione la Madonna del Carmine... ha scritto Tino.)

MARIANNA: “Che n a caro che èi! Vedé che beson senpro avé feduzia!” (= Sono proprio contenta! Vedete che bisogna sempre avere fiducia!) (anche Nina e Toni smettono il lavoro e si fanno vicini a Tonina che, attorniata anche da Marianna e Gigia, aiutandosi con un coltellino, apre con devota attenzione, la busta. Estratto il foglio, lo dispiega e lentamente legge) (musica in sottofondo)

LETTERA: “Tonina cara, gioia della mia anima e bene del mio cuore! (Tonina si passa una mano sugli occhi) Trovo solo adesso il tempo per mandarti mie notizie e dirti che sto bene, come spero di te. Adesso siamo in una baracca sotto le nostre crode, ma stiamo sempre con gli orecchi pronti, per le valanghe, che con tanta neve che è caduta, cascano anche vicino. Il capitano è buono e dice che la vinceremo sta guera e ci ha mostrato anche la fotografia dei suoi bambini, che da molti mesi non vede...”

GIGIA: “ Là mo, femene, co la famea così ndalonde!” (= Ecco, vedete donne, con la famiglia così lontana!)

TONINA: (legge) “... e vi prego, Tonina del mio cuore, di andare in chiesa a metere un cero all'altar de le aneme, che mi hanno protetto la sera di Natale. Senza il loro aiuto, non sarei qua a scrivervi” TONINA: (preoccupata e curiosa, alza gli occhi dallo scritto) “Mare mea, ce elo capitiou al me òn? “ (= Madre mia, cosa sarà successo a mio marito?) (legge) “ La sera del ventiquattro ero di guardia, vicino alla nostra trincea, quando ho sentito un piccolo rumore che non era bestie, quelle non le vediamo da un pezzo. Con un po' de paura, mi giro di scatto e chi vedo a pochi metri? Un todesco, quelli col chiodo (caratteristico elmo), un pezzo di uomo, alto con un fucile che mi puntava... (silenzio) ... mi guardava senza muoversi. Io era quasi che morivo” (le donne si guardano stupite ed impaurite: i due soldati, coprendosi alla meglio con il lenzuolo, si fanno vicini alle donne per sentire meglio) “e mentre cercavo di alzare il fucile, l'todesco mi allunga la mano e dice forte, senza muoversi” (Tonina non capisce. E' uno dei due soldati che, facendosi avanti, legge sillabando) ”FROEHLICHE WEIHNACHTEN”...” SOLDATO: “ Vó di Bon Nadal!”

TONINA: (continua a leggere) “... taliano! E io come un semo gli ho dato la mano che l' todesco ha stretto forte. Mi è venuto in mente che Don Antonio diceva che besogna amare anche i nostri nemici e ho detto anche io, che mi pareva anche creanza: ”Buon Natale, todesco!”.

Nina cara, ho pensato che “ adesso l me copa!”. E invece l'todesco si è girato in silenzio come era venuto, è tornato dalle sue trincee senza più dire né A né BA.” GIGIA: “ Femene, chiste é miriacui!” (= Donne, questi sono i miracoli!) (Si alza lentamente la musica e la scena continua a casa di Otelia, dove continua la lettera di Bepi)

Casa di OTELIA

ETTORE: (continua) “... Dovete sapere che il giorno di Natale è statto qua da noi Don Piero Zangrando, e a detto messa in mezzo a tutti. Non so come, ma mi sembrava che il cannone sparava meno, e tutti noi abbiamo fatto la santa comunione. E' un bravo prete, coraggioso che non ha paura di niente, capace anche di andare dietro i reticolati a confortare i soldati che morivano...” (si ferma un attimo, appoggia la lettera sulle ginocchia e beve un sorso da una bottiglia. Poi, con rumorosa soddisfazione, asciugandosi le labbra con la manica della giacchetta, continua) “... L'altro giorno si è fermato a bere un cicchetto con noialtri e ci ha raccontato che se la era vista brutta, mentre dava l'ogli santi a un austriaco che moriva, una pallottola gli a trapassato il cappello e per poco non lo facevano prigioniero se non era per l'artiglieria che a cominciato a sparare da Longeres. Non sa neanche lui come portava a casa la pelle... che prete!“

AGNESE PERPETUA: “Eh, sei algo anche ió dei prèe... i à senpro calchedun su adàuto che i tien le man sora” (Eh, ne so qualche cosa anch'io sui preti... hanno sempre qualcuno su in alto, che tiene loro una mano sopra) (Non atteso, bussando ed aprendo la porta contemporaneamente, entra il Pievano Don Antonio Puliè, che abitualmente passava a salutare le famiglie dei soldati al fronte)

OTELIA: “ Monsignor, cuanto a caro che avon de vedelo! L viene ca anche lui, a liede chel che scrive Bepi.” (= Monsignore, che contenti che siamo di vederla! Venga qui anche lei e legga quello che scrive Bepi.) (Il Pievano prende la lettera e velocemente ne dà una scorsa. Alza gli occhi dal foglio)

PIEVANO: “ Otelia, siate grata alla Madonna e ai Santi! Bepi ha incontrato un grande prete. Don Piero non ha paura di nessuno, e niente lo terrebbe lontano dai suoi soldati.”

MARIA: “ Monsignor, l se pense anche dei nostr omen, cuanche l digarà messa! Che i posse tornà apede!” (Monsignore, si ricordi anche dei nostri uomini, quando celebrerà la messa! Che possano tornare a casa!)

PIEVANO: “Non abbiate paura Maria: io non dimentico neanche uno dei miei soldati di Auronzo, quando prego. E ricordo anche voi, brave donne forti e cristiane. Adesso vado, che ho ancora un po' di gente da incontrare. Tenetemi informato, mi raccomando!“ (Il pievano se ne va e il povero Ettore girando casualmente il foglio, vede che altre frasi sono scritte sul retro. Si batte la fronte dandosi dello stupido per essersene dimenticato; chiama Otelia e continua a leggere) ETTORE: “...Vi raccomando sempre delle nostre figliole, che si comportino bene e state attenti con la legna, che l'inverno è ancora lungo.”

MARIA: (con tono di chi spettegola) ”L stà a pensà a le legne! Co no avaron pi, brusaron le gianbe del taulìn!“ (Si preoccupa della legna! Quando non ce ne sarà più, bruceremo i piedi del tavolo!)

(Otelia la guarda storto facendo segno di non interrompere la lettura) ETTORE: (continua) “... imagino che avrete copato l maiale. Sarà stato un lavoro duro, ma il prossimo Natale ci sarò anche io a darvi una mano. Finisco di scrivere perché sento che chiamano anche stanotte, forse, si andrà all'attacco ma se dovremo morire per l'Itaglia moriremo fieri per portarvi la libertà. Un bacio a tutti e a te, moglie mia cara, un abraccio forte.” (Si alza la musica e la scena ritorna nella casa di Tonina)

Casa di TONINA

(La lettura, dopo il racconto dell'inatteso incontro con il nemico, prosegue ancor più interessante)

TONINA: “... cosa sarà stato, moglie mia? Perché non mi averà sparato, che fino a poche ore prima si sentivano solo gli schioppi! Non ho fatto adora a tornare in trincea, che dalla parte dei todessi, veniva un canto... Posibile? Mi domandavo e mi viene incontro proprio Mario de le Vare che l aveva tanta neve sul capello che non si vedeva neanche la penna -Cantano per Natale anche loro-, mi ha detto, -sono cristiani e hanno nostalgia delle famiglie anche lori-” (I presenti, visibilmente commossi, si asciugano, chi più, chi meno visibilmente, una lacrima, ma si ricompongono presto, per sentire la fine della lettera)

MARIANNA: “Penso al pare, che i avea sbarou de n brazo su pol Falzarego. Ades no l é pi dal vres: l siente l canon dute le gnote e l se desseda n sudiore, sbegarando che scampone.” (= Penso a mio padre, che gli avevano sparato ad un braccio sul Passo Falzarego. Adesso non sta più tanto bene. Gli pare di sentire il cannone tutte le notti e si sveglia in un bagno di sudore, urlandoci di scappare.)

GIGIA: “Stasé n pas! Almanco n calche maniera, i lo à menou a ciasa. Chiste nvenze i é ncora là che i sconbate!” (=State in pace! Almeno in qualche maniera lo hanno portato a casa. Questi invece sono ancora là che devono tener testa)

TONINA: “ Etore, ve preo, lassà che fenisse ió de liede... l me pore òn!“ (= Ettore, vi prego, lasciate che finisca io di leggere... povero mio marito!)

ETTORE: “Tolé, tolé Tonina!“ (le porge la lettera)(= Prendete, prendete Tonina!)

TONINA: “... e così anche noialtri, siamo incominciati a cantare sottovoce - Su pastori alla capanna -, vi ricordate, quando cantavamo - l bambin - per le case? Non sapevamo più le parole e qualcuno aveva le laccrime che si ghiacciavano sui baffi, intanto in qualche modo siamo arrivati alla fine, e anche i todeschi avevano finito di cantare. Mario aveva bevuto tutta la sgnapa quando, con tutto l fiato, ha urlato -Buon Natale, Todeschi!- -Adesso ci sparano -, mi è venuto a pensare. E invece dalla parte dei todeschi qualcuno ha urlato come che parlano loro:- Buon Natale talijani!-”. Basta! Cari tutti, pregate le anime del purgatorio e cercate di andare dacordo. Sicuramente vinceremo sta guerra e tornerò a stare sempre con voi. Un abraccio a tutti, (pausa) vostro Tino. (subito la scena si sposta sulla famiglia di Otelia, che “ sulla voce” fa seguire)

Casa di OTELIA … vostro Giuseppe... (musica)


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