Ore di città/15
Notturno
editLa poesia, qualche volta, mi fa perdere il tram...
Lo sento che lo perdo, ma in mezzo a tanta gente non oso guardar l'orologio (mio padre mi diceva che non si usa, in casa d'altri). Intuisco che è tardi e so che da quelle parti non ci sono linee col servizio notturno... C'è sempre intanto qualcuno che insiste: «... un'altra poesia... poi basta e poi la lasciamo andare...» Quando vado, quando vanno tutti sono le due e son fritto!
In strada, sulla porta, assisto alla partenza delle belle, delle grandi automobili, nere, luccicanti sotto i fanali... «Grazie, Tessa, la ringraziamo tanto della bella serata, del godimento...»
«Per carità... le pare? sono io che devo...» «A rivederci...»
«Buonasera!»
... solo sul marciapiede, col mio vecchio ombrello a becco sotto il braccio, mi guardo in giro... Poi prendo la strada tra le gambe e m'avvio. Magari cinque chilometri! La passeggiata non mi dispiace. Dorme la città immensa e disabitata... immensa pare davvero coi suoi viali dritti, coi suoi corsi lunghissimi e globi, globi di luce, globi che non ti son mai parsi tanti e così in fila...
La città dorme chiusa, d'un sonno duro, rappreso, tenuto lì ma per poco... le tre... le tre e un quarto... le quattro e poi... ... pum!... Un portello batterà secco nel silenzio a rinchiudersi, là... Un passo frettoloso... è il primo. Poi... l'alba!...
... Cerco, in alto, una qualche finestra illuminata. Nessuna! La città dorme, cieca, nella pausa immobile fra i due giorni. Nessuno veglia. Misuro il passo rapido sull'accentuazione di un verso Et l'homme est las d'écrire et la femme d'aimer.
Vo' sillabando, mentre cammino, il grande verso antelucano! Et l'homme est las d'écrire et la femme d'aimer.
Preludio al crepuscolo del mattino, baluginando visioni di fosche città insonni accese da libidini notturne. Ma qui, tutto dorme. Alle fioche lucerne non fiammeggiano più le fantasie dei poeti, ma l'onesto sonno familiare compensa la giornata lavorativa.
Nessun ubriaco tenta vociando la via di casa per finire in un soliloquio scomposto abbracciato ad un lampione.
Ai crocicchi, quei fari gialli, ammiccano sinistramente.
I marciapiedi sono deserti; i caffè chiusi.
La Galleria è una gran sala vuota.
Quando abitavo in via Olmetto e a queste ore passavo da piazza Sant'Alessandro, mi capitava a volte di assistere a delle scene da Sabba romantico. Le vecchiette che dormivano alle porte della chiesa si destavano intirizzite nel cuor della notte e per riscaldarsi raccoglievano in un gran mucchio la carta straccia da loro usata come giaciglio e a quel gran mucchio davano il fuoco asserragliandosi torno, torno. Vedevo il riverbero di quel falò sulla facciata - qui - della chiesa e là sul muro del palazzo Trivulzio e tutte in cerchio tante faccette rosse e tante manine rosse protese verso la fiamma...
Erano i tempi che i primi ricoveri notturni si aprivano in Milano, ma ben pochi li frequentavano. Quei buoni diavoli dei promotori, non contenti di aver messo nell'istituzione benefica la loro opera e il loro danaro, si prendevano pure la briga di girare la notte per le piazze in cerca di clienti! Li scuotevano, li destavano... e...
«Su... su... perché dormite qui al sereno, con questo freddo; andiamo, venite con noi che ci sono adesso per voi locali scaldati e per niente!»
Sapete cosa si sentivano rispondere?
«Andee a cà, vagabond, lazzaroni, lassee stà la gent che dorma!...»