Ore di città/17
Inno a un tram
editA Milano c'è ancora un tram che costa dieci centesimi. È un sollievo pagare così poco, non fosse altro per tutti i ricordi che sono legati a quella monetina: ma in compenso il tram così a buon mercato non viene mai.
Alludo alla carrozzella che da piazza Corvetto, dove termina il ventidue, va ballonzolando sino alle sette piante di Rogoredo. La carrozzella verso sera si allunga di tre o quattro altre vetture e accelera il suo ritmo di corsa con una specie di stretta finale come i cavalli quando sentivano l'odor della stalla; ma durante il giorno è sola e dorme lungamente ai capilinea.
Ecco il mio caso; devo recarmi dal mio vecchio amico e cliente, il signor Piani - lo zio Piani - che sta col suo stabilimento nei pressi di Rogoredo. Scendo dal ventidue e esploro lo stradone asfaltato e affocato. La navicella tranviaria è all'orizzonte? Non pare. Aspetto? Vado a piedi? Attendo un po'. Non viene. Che sole da Mar Morto! Mi decido e m'incammino. Dopo cinque minuti di strada ecco un tramino che mi viene incontro dondolandosi allegro, quasi dicesse; son qui, non hai avuto pazienza. Lo guardo passare. Devo attenderlo a questa fermata al suo ritorno? Difatti mi fermo e aspetto. Partirà subito di laggiù? Non c'è speranza. Proseguo. Al bivio di Rogoredo arriviamo, insieme. Lo zio Piani, circondato dalla nidiata dei suoi nipoti che collaborano con lui, mi fa la solita festa (ci conosciamo da tanti anni!), parliamo delle nostre faccende e poi lo zio si scusa che ha la macchina in riparazione e non può riaccompagnarmi. «Ma le pare? C'è il tram» e lui: «Quello è buono!» «Vedrà, vedrà, questa volta lo piglio».
Saluto: esco. Al crocicchio dove la strada di Lodi sale per il cavalcavia c'è la sua brava fermata e obbligatoria per giunta. Non mollo; sono deciso a prenderlo. Sto sotto il sole a rosolarmi per un dieci minuti. Poi il tram arriva. Faccio disperati segnali perché si fermi. Non si ferma. Resto lì sulle rotaie rimminchionito come le vacche che vedono passare il diretto. Un ciclista pedalando mi grida la spiegazione dell'enigma: «Questa chi l'è la fermada de quand el va in sù, la fermada de quand el va in giò, l'è quell'altra!»
Non mi resta che andare a piedi alle piante di Rogoredo e attendervi l'altra corsa a meno di non prendere il treno addirittura e finire alla Stazione Centrale. Al capolinea c'è un ponticello che mette a un ristorante con alloggio. Se prendessi un gazzosino? Non c'è; mi dicono che la gazosa non si usa più; ma con una birra davanti ho lasciato passare un altro paio di tram e cioè a dire una oretta.
Ho cantato le lodi del tram n. 32.