Ore di città/48  (1988) 
by Delio Tessa
Ore di città edizione postuma

Olmetto I edit

Qui sono stato trent'anni, dal '95 al '25.

Ho rivisto ieri l'appartamento al primo piano verso via Amedei. Il gran salone a volta è oggi lo studio d'un avvocato. In altri tempi era la sala di ricevimento della padrona di casa.

Donna Marta sedeva nel vano della finestra e aveva a sfondo il muro giallognolo del numero sette. Donna Marta Martignoni ci accolse così - il papà, la mamma ed io - quel tardo pomeriggio di febbraio per la firma dell'investitura, una visita di dovere anche e di presentazione.

Il papà voleva combinare sulle mille lire, donna Marta insisteva per le mille e cento; il papà voleva poi due tappezzerie e l'imbiancatura della cucina e del corridoio.

«Lu, scior ragionatt, i e pensa de nott per dimmi del dì, farem milla e cinquanta e ghe sbiancaroo la cusina e amen». Si accordarono sulle mille e trenta. «E el parquet?» «Ma com'è? Anca el parquet adess?... quell poeu...» Il parquet era dell'inquilino che andava via e finirono col rilevarlo metà per ciascuno restando poi di proprietà della padrona. Il papà se ne pentì per trent'anni di fila.

«Che asen che sont staa!»

La casa non è mutata; non invecchia. Di qui a cent'anni sarà ancora tale e quale col suo cancello di legno all'ingresso ad aste infitte che il signor Ferrario chiamava «i lanc di giudee», coi suoi lastroni di pietra sotto il portico e la corte ad acciottolato. Anche la tromba dell'acqua c'è ancora per quanto nessuno l'adoperi più. I portinai però sono stati cambiati da un pezzo. Nessuno più li conosce. Se arrivasse qui una lettera al mio nome la respingerebbero con la scritta: «sconosciuto, al mittente».

Ieri mi sono accorto che un periodo della mia vita s'è proprio chiuso e da tempo. Non ho osato salire sino al terzo piano per non trovarmi di fronte a quell'uscio, al nostro uscio con su un'altra targhetta e un altro nome. Da via del Fieno a via Olmetto fu un San Michele da niente per noi: due passi; ma, prima di decidersi, ne visitammo degli appartamenti! Nelle case nuove di via Dante ci mostrarono persino che girando una chiavetta si accendeva - tac! - la luce elettrica! Ma c'erano troppe scale e il papà non ne volle sapere:

«Se desmenteghi el fazzolett, putost che tornà dessora, voo foeura a comprall!» Ci si decise per casa Martignoni e fu già un bel progresso. In via del Fieno c'erano ancora le linghere, ma quest'altro era un fabbricato civile, vi abitavano persino signori con carrozza e cavalli. Al primo piano c'era la signora Trombini, una vecchia dama che la mattina prestissimo la si vedeva seduta alla finestra intenta al lavoro. Ancor prima che la sua cuffietta apparisse di là dai vetri s'era già sentito in Via Amedei il trotterellar serrato del Gaitan, il sacrestano di Sant'Alessandro, che si affrettava in chiesa per l'Angelus; e, subito dopo, se guardavate giù nella strada ancor buia potevate vedere le quattro o cinque donnette della prima Messa arrancar lungo i muri. Arrivavano a Sant'Alessandro che stavano aprendo le porte che se poi erano chiuse ancora e dovevano aspettare di fuori, tanto meglio perché... non lo sapete? ad attendere, il mattino, che la chiesa si apra, si salva un'anima dal purgatorio. Perdere la prima Messa? Morire, piuttosto, ma non perderla, e una è morta davvero, non proprio per non mancarla, ma giù di lì. La mamma di un mio vecchio amico - una buona e cara signora - era andata a stare a Fino Mornasco, e là invitava a turno amiche sue d'un tempo. In quell'inverno erano con la signora Lucie la signora Clerch e la signora Serein. Abitava in un appartamento che dava sulla piazza e tutte le mattine alle cinque e mezzo... su, tutte e tre... e giù... in chiesa! Capitò una volta che la signora Lucie in sogno sentisse la campana dell'Ave! «Cielo! Ho fatto tardi» disse. La signora Lucie desta la signora Clerch, la signora Clerch desta la signora Serein, si vestono in fretta senza curarsi d'altro e scendono... che freddo... che buio! Al buio, per quello, c'erano abituate, era così tutte le mattine... ma c'era un silenzio però... un silenzio e un deserto... Le porte della chiesa erano chiuse; come mai? Le tre signore aspettano. Nessuno apre. Guardano su al campanile. Le campane tacciono. Le ore non si leggono. Aspettano. Che gelo! Finalmente... dan... dan... dan... piovono di lassù tre tocchi. Tre? Che strano! Le tre? ... ma allora... Allora... Gesù mio! La signora Vanni si accorge di aver sognato... tornano a casa e, adesso, che fare? Star su? Andare a letto? Tanto, di qui a due ore bisogna alzarsi di nuovo; meglio dunque rimanere alzate. Si siedono intorno alla tavola aspettando le cinque... le cinque e mezzo, ma, verso l'alba, una, non so più quale, è presa da brividi... scende però lo stesso. Quel giorno si sente male e la sera si ammala.

Polmonite! È morta!

Volevo fermarmi in via Olmetto e invece... vedete un po' dove sono capitato! A Fino Mornasco! Ma adesso torno indietro.

L'appartamento della padrona di casa - via lei (andò a stare a Como) - venne preso in fitto dalle suore Marcelline di via Amedei, che confinavano muro a muro con casa nostra. Ci misero una sezione dell'infermeria. L'uscio che metteva sulla scala comune venne chiuso e nessuno passò più di lì. Di un cortiletto interno, guardando in fondo, qualcosa si sarebbe pur dovuto vedere, ma non passava anima viva, tutto era silenzio. Verso sera soltanto, e di quando in quando, saliva di laggiù un suon di tromba. Oh, bella!

Le Marcelline suonavano la tromba? Ma no... una voce melliflua chiamava:

«Peppi-i-i-i-no!»
E un'altra voce di malumore le rispondeva:
«Ve-e-e-e-gni!»

Ma non veniva... la tromba continuava a suonare e faceva scender la sera più presto; e allora la voce di prima insisteva su un altro tono...

«Pepi-no-o-o-o!»

E quell'altra, più forte:

«Ve-e-e-gni!»

Andava finalmente lasciando un vuoto; il suono della tromba aveva fatto un buco che le tenebre della notte poi, adagio, adagio, riempivano...

Durante la guerra il povero Peppino riuscì a farsi esonerare per qualche tempo... la tromba però non la suonava più, veniva invece a far quattro chiacchiere in corte coi nostri portinai. Però, dopo Caporetto, partì anche lui, e non tornò più.