Ore di città/05

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Sole a novembre

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... se ne va piano... piano e pare che di tanto in tanto si fermi a sogguardare e fa - pure - qualche passo indietro incontro all'inverno che viene ed ecco (a novembre) l'estate di San Martino; ed ecco poi Santa Caterina col sò sacch de farina (la prima neve) e così tutto è finito.

Il venticinque - a santa Caterina - si accendevano le stufe a casa nostra (non prima, mai, cascasse il mondo!). In via del Fieno si accendeva una stufa di muro nel salottino della mamma, una vecchia stufa che ai suoi tempi veniva mostrata come una novità perché la gh'aveva el gir de fumm. In che cosa poi consistesse la novità non ve lo saprei dire, ma mia madre rammenta ancor oggi che è una scoperta di un nostro parente fumista. E poi dicono che la mia famiglia non ha dato niente all'umanità. Perbacco! Ha dato il giro di fumo!

In via Olmetto si accese in seguito la Germanica N. 13. Vedo ancora la placchetta nichelata. La scorta del carbone e la manutenzione delle stufe erano fra le maggiori preoccupazioni di mio padre. In trent'anni di servizio la Germanica cambiò l'anima di ghisa una volta sola! Quando era accesa, tirava bene e il carbone brillava dalle finestrette di mica, mio papà la guardava con affettuosa riconoscenza. Finì così per diventare amico del signor Wulfing, il negoziante che gliel'aveva venduta. Il signor Wulfing, germanico anche lui come le sue stufe, se lo incontrava per strada gli prendeva una mano fra le sue, gliela scuoteva forte e diceva: «Buon giorno, caro amico!»

A Novembre, il sole lo si vede di rado, ma qualche volta c'è.

Splendido!

Riposa sul verde smunto e già freddo dei prati, si allunga, si adagia colle ombre sottili dei tronchi... Dalle due alle tre, passo passo accompagno la mamma nel suo giretto quotidiano. Si va a un parco vicino. La nostra panchina sarà occupata? Sì. Più avanti c'è posto. Sediamoci là.

La mia cara vecchietta prima di sedersi mette sotto la buona stampa («L'Italia»). A buon conto (amici?) non si sa mai! La popolazione che frequenta i giardini della città nei giorni che per gli altri sono di lavoro è composta per lo più - l'avrete notato - o di bimbi o di vecchi; gente che ha finito di vivere o che non ha ancora incominciato. C'è poi qualcun altro che dorme sconsolatamente colla testa appoggiata alla spalliera della panca e la faccia in giù. Nei prati, nei viali, due, tre, quattro giardinieri... vicini, lontani, muovono lunghe scope, raccolgono le prime foglie cadute, curano ancora la nettezza dei tappeti verdi. Ma tra poco, ai primi freddi, coi primi venti... che turbinio...!

Una foglia, cade, qui...
E poi, un'altra...
Penso a Tommy, a Nennele...

Il tepore molle del sole, la chiarità dell'aria, quel movimento largo, lento delle lunghe scope induce al riposo, chiama al sonno...

Due voci: una dice:
«Se io vincessi il milione dei Buoni del Tesoro...»
Guardo.

Un vecchietto con un giornale in mano parla a un altro in piedi vicino a lui che l'ascolta. Mi chiedo: strano. Come possono avere Buoni del Tesoro questi vecchietti? Eppure parlano della vincita come di cosa possibile...

«... Se io vincessi, non farei come quelli che sprecano i denari nelle automobili e colle ragazze e nemmeno aiuterei troppo i giovani e la gente che può lavorare e cavarsela per conto suo, no, io invece, col milione della vincita, farei del bene a tanti poveri vecchi».

«Sicuro - dice l'altro - proprio così perché ai vecchi nessuno pensa...» ... le scope lunghe e lente passano e ripassano sui prati... una carretta colma di tutte quelle foglie cadute... se ne va...

Le tre. Andiamo.

In questo parco del sud, nella città bassa, non c'è soltanto gente che ozia. Il parco ha pure i suoi lavoratori. Li vedi sulle panchine seduti a cavalcioni, l'uno all'altro di fronte. In mezzo sta un mucchietto di tabacco. Quello di qui disfa i mozziconi delle sigarette raccolti per via, libera il tabacco dai residui della cenere, dalla carta velina e lo mette in mezzo; quell'altro di là ricostituisce le sigarette.

«Le fumano loro o le vendono?» ho chiesto.
«Le vendiamo».

«E come va il commercio?»

«Così, così. Una volta discretamente, ma ora non tanto; per terra, in strada, si trova sempre meno. Non buttano via più niente. Fumano tutto fino a bruciarsi le dita».

Qui vicino ho un amico.

Credo alloggi all'Asilo Notturno che ha sede in una di queste vie che sboccano al Parco. Esercita la professione del «barbonismo».

Appartiene alla dignitosa categoria di barbon de la mura. Volevo esprimermi in lingua ma come si fa? Non sempre ci si riesce. I barbon de la mura - per necessità trasandati nell'abito e nella toeletta - non sono mendicanti nel senso vero e tradizionale della parola. È gente che se ne sta appoggiata a un muro per ore ed ore senza chieder nulla ad alcuno. Accettano però le offerte. Il mio amico quando mi vede venir da lontano si mette in movimento e mi volta quasi le spalle per farmi capire che non ho alcun obbligo verso di lui. Mi saluta gentilmente e con considerazione. La considerazione è aumentata quando una volta mi vide ai cordoni di un funerale importante che aveva la banda militare in testa e ai lati del feretro soldati colle spade sguainate.

La sera dello stesso giorno mi fermò per confidarmi che lui pure in altri tempi aveva servito nell'esercito ed era stato sergente.

Dev'essere un uomo istruito. L'ho colto una volta che leggeva il «Paris-soir»! ...abbiamo lasciato il Parco ed ora, fiancheggiando le scuole, si va, adagio, adagio verso casa... La mamma è quasi cieca. Davanti a sé dice di avere una gran luce abbagliante in cui tutto si perde.

«Di lì cosa c'è? Cosa stanno facendo?»
«C'è una bella strada dritta che va fino in fondo a raggiungere via Tibaldi».
«E il muro del gas è su ancora?»
«È su, ma fra poco inizieranno i lavori per l'Università Bocconi. Verrà il Duce per la posa della prima pietra».
«Sento odore di benzina».

«Siamo davanti al distributore. C'è una macchina che riempie il serbatoio».

La mamma vede così, sa e annuncia quando si passa dal salumiere, da una macelleria, dall'ortolano...

«Domani, se sarà una bella giornata come oggi, vorrei andare a Musocco a trovare il povero papà. Ho ancora da pagare due mesi arretrati per la manutenzione del giardinetto...»