193935Ore di città/541988Delio Tessa

Tristano può venir

edit

Veniva di solito in quell'italiano un po' ostrogoto dei libretti d'opera wagneriani nelle edizioni bianche e rosse. Ma questa volta è venuto addirittura in tedesco e tra il capir poco di quello che dicevano sul palcoscenico e il capir niente del tutto non c'è poi una gran differenza. Sulle teste dei fedelissimi di un tempo è nevicato parecchio e ora che il loro idolo troneggia sul piedestallo del consenso universale, possono ben sorbire con soddisfatta pacatezza borghese le fresche aranciate al buffet; ma trent'anni fa che battaglie in scompigliate chiome e democratiche giacchette!

So che mi tiravo in loggione il riluttante genitore. Prima e di giorno gli avevo messo in mano il libretto perché lo leggesse. L'aveva aperto a caso ed era capitato male:

Sei tu? Son io?
Son io? Sei tu?
. . . . . . . . . . . .
Tu Isotta
Tristano tu
Io Tristano
Io Isotta...
«Oh bell? - esclamava - mi sont ti... ti te see mi... coss el voeur dì? e chi poeu... legg chi!»
...La notte a te
La luce a me...

Non andò più in là, chiuse e mi restituì il libretto.

Alla sera le cose precipitarono: non capiva affatto come la musica potesse avere una funzione descrittiva. Vi ricordate quando al principio del secondo atto Isotta canta:

La face... Spegner vo'... E la spegne difatti al suolo e poi agita il fazzoletto per chiamar Tristano.

In casa Bertoglio dove erano tutti musicisti dalla sorella maggiore che suonava la tromba giù giù in scala - fratelli e sorelle - oboe, violoncello e pianoforte, sino al notaio, grande amatore di musica anche lui ma non attrezzato alle novità. Quando cominciava con «quel Wagner» atteggiava il volto a sofferenza e si lamentava piano piano durante la lettura del giornale. E loro a spiegargli i temi: il filtro, la spada, l'elmo... «Ma comè! anca el cappell?...» Non li digeriva.

Il tema dei Nibelunghi era per lui la bottega del tollee; l'entrata dei Cavalieri del Gral nel primo atto del Parsifal, l'era el funeral de prima e l'estasi d'amore o qualche cosa di simile nei Maestri si riduceva al cigolio del l'uss che se sara... Loro avrebbero voluto che cantassero come una volta: «Par semper che cànten ma poeu volten foeura...». E raccontavano di quando dopo una «prima» le strade della città echeggiavano delle arie dell'opera fortunata:

Va pensiero sull'ali dorate...

Per propagazione spontanea le cantavano anche coloro che non erano stati mai a teatro: il lavandaio dal suo carro, il garzone del fornaio, la piscinina della sarta...

...Va, ti posa...

Mi sono accorto assistendo allo spettacolo dal palcoscenico che c'è una prospettiva non soltanto per i fondali, le quinte e le scene ma anche per la recitazione lirica. Viste dalla sala e un po' da lontano le cose vanno a posto ma da vicino tutto ti sembra enorme e caricato. Tristano butta le braccia al collo a Isotta come se volesse abbracciare una pianta. I sentimenti nella espressione del recitativo e del canto sono gonfiati, ampollosi... Amori, odi, gioie, dolori tutto al cubo. Re Marke mi vien da presso prima d'entrare in scena, aspetta il suo turno. Come mi sento misero, misero nel mio abitino da sera vicino a lui barbuto e impaludato! Mi vedo nelle mie scarpette nere e lucide come in due scarafaggi; sono un avvocatino del 1939 e lui è il Re! Il Re della leggenda, il Re tradito per sempre dal suo Tristano. Io sono il caduco, il transeunte e lui l'eterno. Lo guardo ancora di sottecchi il Gran Re. Che omone! È sui trampoli? No, è proprio alto così! Ora sta per uscire... si muove, s'avanza... quando i cantanti escono in scena e quasi son buttati fuori, mi dan l'idea di bagnanti che scendono in mare; le onde dell'orchestra li raggiungono, li avvolgono e loro vi si calan dentro e nuotano in quel pelago sonoro. Son lì a una diecina di passi da me eppure come paiono distanti... irreali!... la figlia d'Irlanda, Isotta - chiome bionde, veli azzurri - mi fruscia accanto. Come si potrebbe rivolgerle la parola, farle una domanda qualsiasi? Chiederle, per esempio: «Come sta suo marito signora? Si trova bene a Milano?» Sento che non è possibile; bisognerebbe perlomeno adoperare i versi del libretto.

Quando il velario si chiude succede il finimondo! I cambiamenti di scena avvengono in due tempi. Nel primo tutto sale, si ritira, sprofonda sinché davanti a voi si apre uno spazio che pare immenso tanto è libero, alto, vuoto. E si inizia così il secondo tempo. A un'effimera realtà, altra ne succede non meno caduca. Penso a Colui che si balocca coi Mondi e che di tanto in tanto si compiace nella Sua imperscrutabile saggezza di far, come costoro, piazza pulita! Un uomo in tuta è adesso al centro del palcoscenico e guarda in su e dirige la manovra degli scenari. Il bosco è a posto e lui grida: «Tira giò i stell! tira giò i stell!» E il Padreterno che è in alto, in silenzio, gli ubbidisce e le stelle scendono appuntate su un velo notturno. Come sono? Vorrei chiederlo ma non oso e non so a chi. Tutti sono in gran faccende. Uno solo è in ozio; il pompiere di servizio. Che sian fatte - mi domando - come le gemme delle biciclette? E se anche le altre, quelle vere, fossero pezzi di bicchiere?

Le tavole del palcoscenico assomigliano al ponte di una nave. Senti che sotto c'è un elemento mobile e infine provi il desiderio di sbarcare, di toccar terra.

Mi decido e torno in teatro. Salgo alla seconda galleria - vulgo loggione - ritrovo e mi apposto in un angolino che mi accoglieva trent'anni addietro. Qui l'onda dei suoni s'ingolfa e riposa come l'acqua sotto le volte buie delle darsene. Sto lì come i bambini in castigo guardando il muro. Ma il canto della solitudine, la melodia del pastore mi schiude una visione di mari deserti ai limiti delle terre abitate, di mari verdi, di cieli freddi, iceberg solitari biancheggiano all'orizzonte. Come Tristano, mi chiedo:

Quest'aria antica
a che mi desta?
dove sono?

Desideri, speranze di quei tempi lontani s'affollano, mi assalgono... e Kurwenald inutilmente scruta il mare: Nessuna vela appare...

La terza cantina del poema wagneriano s'incupisce a grado a grado come la vita dell'uomo declinando l'età. Ma nella notte che è scesa, sullo scoglio ove Tristano è morto ecco una fiamma s'accende, s'innalza: è il canto non terreno d'Isotta; si libra, vola... è l'inno della liberazione ultima; tu che l'ascolti guardi senza rimpianto le cose pur belle di questo mondo, abbandonate e provi quella tranquillità e ti senti in quella pace che certo sarà dell'Essere dopo il trapasso allorquando d'innanzi alla tua spoglia estranea dirai: «Anche questa è finita! »