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nità, con altri «universi» da sempre competivi, occasioni per tramandare di generazione in generazione attraverso giochi simbolici e aggressivi le diversità tra le comunità di appartenenza, come nella storia dei ragazzi dei paesi di Longeverne e di Verlans raccontata Louis Pergaud.[3]

Ma molto più spesso - come nei distretti orientali della Repubblica di Venezia - le competizioni tra comunità confinanti perdevano ogni valenza rituale e simbolica, sfociando per tutta l'età moderna in violente prove di forza che il più delle volte degeneravano in un lungo stillicidio di episodi sanguinosi, di ritorsioni e di vendette, interrotti da compromessi e da provvisorie pacificazioni. La posta in gioco non era costituita soltanto da ragioni materiali o da rivendicazioni territoriali, ma anche da motivazioni «ideologiche», connesse in qualche modo ad un insieme complesso fatto di principi e di pregiudizi, come prestigio, onore, intolleranza. Tutto ciò contribuiva ad accentuare il particolarismo comunitario, rafforzando i legami vicinali e attribuendo al confine la prevalente funzione di chiusura nei confronti dell’esterno. «Tale è la unione che passa fra gli individui di quella nazione - scrisse in un capitolo della sua difesa un contrabbandiere catturato dagli abitanti di un villaggio nelle Alpi Carniche - che l’interesse di uno è sempre l’interesse di tutti, quando massime si tratta di interessi contro a’ forestieri.»[4]

D’altra parte, se per gli abitanti i confini sembrano tutelare l’integrità della comunità villaggio dalle minacce indefinite di quanti - viaggiatori, funzionari, sbirri, o forestieri - si riteneva potessero l’identità incrinare in qualche modo corrompere la stabilità interna, modificare la struttura territoriale del villaggio, violare le regole di vita o, comunque, provocare semplicemente «un mucchio di grattacapi» - come l’accusa mossa all’agrimensore K. nel Castello di Kafka[5] - tuttavia le barriere di confine diventano lo strumento istituzionale per emarginare ed escludere dai benefici comunitari anche quei nuclei di famiglie immigrate, residenti da anni o da più generazioni all’interno del villaggio. La loro assimilazione giuridica e istituzionale con i discendenti delle casate che in origine avevano colonizzato il territorio poteva avvenire solamente a conclusione di un formale pronunciamento dell’assemblea dei capifamiglia, seguito da un cerimoniale antico, cadenzato da rigide norme rituali, prolungatesi nel tempo (il giuramento di fedeltà, l’atto di sottomissione, il pagamento di una tassa, ecc).

Di conseguenza - nel ’500 come nel ’700, nelle vallate alpine come nelle terre friulane o nell’Europa orientale[6] - un cippo, un corso d’acqua, un bosco, una radura, un albero o una roccia incisi continuarono a segnalare agli abi-

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BIANCO: LA FRONTIERA COME RISORSA