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zazione e l’industrializzazione, poiché il loro tasso di incremento naturale - l’eccedenza delle nascite sulle morti - era stato forzatamente modesto in quanto «l'età media al matrimonio è sempre stata alta e la percentuale di gente sposata bassa».[15]

Le implicazioni di questo capovolgimento di prospettiva per uno studio dell’emigrazione alpina sono evidentemente di non poco conto. Si può facilmente dimostrare, ad esempio, che un regime demografico a bassa pressione consente - a parità di saldo naturale - un rapporto tra popolazione e risorse più favorevole che non un regime ad alta pressione.[16] Questo significa che sarebbe un errore pensare che le popolazioni alpine siano state, nel passato, economicamente «imprigionate» o «immobilizzate» dalla loro stessa demografia, come espressioni quali «fabbrica di uomini», «regime demografico primitivo», e altre ancora, lascerebbero presumere. Questo significa anche che - pur senza indulgere a forzature interpretative ingiustificatamente rosee - è necessario essere cauti nel parlare di povertà della montagna, e ancor più cauti (per questa e altre ragioni) nello stabilire nessi rigidi tra povertà e emigrazione alpina. L’implicazione più importante discende, tuttavia, dalla scoperta che la natalità non era molto elevata e, di regola, solo di poco superiore alla mortalità.

Questo ci impone di riconsiderare l’intero problema del volume dell’emigrazione permanente alpina e della sua funzione di valvola di sfogo - e, più in generale, di riconsiderare il ruolo dell’emigrazione (permanente, temporanea, stagionale) all’interno dei sistemi demografici alpini. La letteratura precedente aveva sottolineato il carattere strutturale dell’emigrazione dalle montagne - un carattere strutturale, quasi astorico, che la differenziava da altre forme di emigrazione - le cui cause di fondo risiedevano sostanzialmente nello squilibrio esistente tra una popolazione spesso di elevata densità e la povertà del suolo, tra una tendenza endemica al sovrappopolamento e la scarsità delle risorse.[17] Era questo divario tra risorse e popolazione, e la necessità di colmarlo in qualche modo, che dava origine all’emigrazione. Gli studi degli anni ’80 hanno invece mostrato che i sistemi demografici alpini possedevano spesso caratteri «omeostatici»: le nascite e le morti tendevano, in altre parole, a mantenersi in equilibrio a livelli di bassa pressione, senza dare luogo a forti eccedenze di natalità, e il cruciale meccanismo regolatore veniva individuato nella nuzialità, che agiva come una sorta di termostato capace di mantenere i tassi di natalità ai livelli desiderati e di correggere rapidamente eventuali spostamenti rispetto a questi

VIAZZO: MIGRAZIONE E MOBILITÀ IN AREA ALPINA
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