considerazione come luoghi dove stabilirsi definitivamente. L’esempio degli emigranti valtellinesi e trentini in Australia, ma anche quello dei biellesi e dei bergamaschi in Africa e in Medio oriente mostra come queste mete siano state percepite come accettabili solo in considerazione della temporeanità dell’esperienza migratoria. Come ha ricordato Templeton, citando il diario di un emigrante trentino dell’inizio del Novecento, l’Australia era considerata un buon posto per lavorare e risparmiare, ma dal quale andarsene al più presto. In secondo luogo si conferma il ruolo di investimento attribuito all’emigrazione fino agli ultimi decenni del Novecento. Le conseguenze di tale investimento non solo risultano ben visibili nel tessuto urbano dei paesi di provenienza, dove abitazioni, chiese, edifici e opere pubbliche, ma anche attività imprenditoriali, risultano come prodotto diretto delle risorse procacciate dagli emigranti. Dalla manifattura dell’occhialeria del Cadore all’industria alberghiera trentina, fino alle piccole attività alberghiere e di ristorazione della Valtellina, i risparmi riportati a casa hanno continuato a fornire i capitali iniziali delle attività imprenditoriali di tante comunità alpine, riaffermando un modello osservato nelle Alpi cuneesi già all’inizio del Novecento.[23]
In terzo luogo possiamo osservare come i rientri stagionali abbiano continuato ad affiancare a lungo quelli che coronavano assenze pluriennali, tanto che, allo stato attuale della documentazione, è possibile proporre delle date di inizio delle assenze pluriennali, ma non la loro fine, dato che esse sembrano essere sperimentate anche dagli emigranti frontalieri contemporanei. Di conseguenza si conferma la difficoltà di cogliere le cesure temporali fra emigrazione stagionale e emigrazione pluriennale agli effetti del ritorno, in quanto la seconda si è prodotta come una dilatazione temporale della prima, che, con costi umani altissimi, ha tentato di perpetuare un modello tradizionale di emigrazione circolare. A questo riguardo, il primo obiettivo che mi ero proposta - ovvero di scandire nel tempo tali tipologie migratorie per tentare di definirle meglio - è risultato non solo elusivo, ma anche meno decisivo di quanto ritenessi. Il luogo della «vita vera» Una seconda domanda, che ci può aiutare a definire meglio le varie tipologie di ritorno, riguarda l’esperienza migratoria nella percezione e nel racconto degli emigranti ritornati. Se nella progettualità, e nei comportamenti messi in atto, le assenze pluriennali si sono uniformate al medesimo modello di quelle stagio-