dunque auspicabile, optando piuttosto per mettere al sicuro donne e bambini nelle vicine campagne.[20]
Nel 1944, malgrado l’iniziativa promossa dal ministro di Roma e da vari consoli per rimpatriare i concittadini che temevano i bombardamenti e mani- festarono il desiderio di tornare in patria, Jenner reiterò che questi avrebbero dovuto organizzare individualmente il proprio ritorno. Le ragioni che egli citò, nel rifiutare l’organizzazione di un rimpatrio di massa, furono diverse. In primo luogo, la Confederazione non aveva alcun dovere di occuparsi del loro rimpatrio, essendo essi emigrati di propria volontà. Inoltre, egli riteneva che per salvaguardare la loro incolumità era «préférable pour les intéressés de chercher un abri à l’intérieur du pays, même si les Autorités fédérales devaient leur allouer temporairement des secours»: un rimpatrio li avrebbe infatti messi in pericolo poiché le linee ferroviarie erano interrotte e la zona era bombardata. Tuttavia, asserì che avrebbe fatto eccezione per il caso dei concittadini discriminati: «[I]l conviendrait naturellement de faciliter [...] le déplacement des Suisse qui viendraient à être frappés par une telle mesure et dont la seule alternative paraîtrait être de rentrer au pays.»[21] Gli svizzeri che rimpatriarono si organizzarono quindi per lo più in modo individuale.
Gli ebrei svizzeri di ritorno dall'Italia
La questione degli ebrei svizzeri in Italia fu affrontata in due particolari momenti.
Nell’autunno del 1938, il regime fascista promosse i decreti razziali. Si trattava
di decreti persecutori che limitavano gli ambiti di vita civile degli «ebrei» ita-
liani, vietando per esempio i matrimoni misti o la funzione dirigenziale nelle
fabbriche ed escludendoli dalle scuole, laddove si vietava agli ebrei stranieri
di risiedere in Italia e si revocava la cittadinanza ai naturalizzati dopo il 1919.
In seguito, nell’autunno del 1943, con l’occupazione tedesca, la neocostituita
Repubblica Sociale Italiana aderì alle leggi razziali nazionalsocialiste decretando
l’arresto degli ebrei di tutte le nazionalità residenti in Italia, il loro internamento
e il sequestro dei loro beni.[22] Fu dunque in questi due momenti che la DAE e i
consolati delle città italiane presero atto della necessità di provvedere alla difesa
dei propri concittadini e dei loro interessi.
In seguito ai decreti razziali dell’autunno 1938, la legazione svizzera comunicò alla DAE l’urgenza di eseguire un primo censimento degli ebrei svizzeri residenti in ognuna delle giurisdizioni italiane e di dare delle direttive precise ai conso-