Ore di città/28  (1988) 
by Delio Tessa
Ore di città edizione postuma

Sette giorni nella bella Milano edit

È un opuscoletto réclame che lasciano sui tavolini di un caffè del centro.

Per quanto immagini che ci siano ancora forestieri innamorati di Milano, pure non arrivo a credere che le dedichino un'intera settimana. Per chi è allora il fascicoletto? È per noi, per gli ambrosiani puri, tetragoni agli allettamenti adriatici ed altoatesini.

Se è vero che gli amici si conoscono nelle digrazie costoro sono i compagni provati della loro città perché non la lasciano nei mesi della calura estiva, anzi ci ritornano espressamente per confortarla della loro presenza sapendola abbandonata dai più. Così faceva mio padre nei giorni di Ferragosto.

Per noi tutti l'opuscoletto réclame traccia un programma. Così la mattina del primo giorno voi potete impiegarla visitando la piazza del Duomo: «Qui il Duomo - trovo scritto - signoreggia colla sua mole grandiosa, con l'imponenza della sua altezza, colle sue innumeri guglie e le sue tremila statue...»

Perché non fermarsi ad ammirarlo? Voi non l'avete mai guardato bene. Ammiratelo dunque questa volta. Nel mentre siete lì col naso per aria un signore vi si avvicina cautamente: «Monsieur, voudrait-il visiter la cathédrale?...»

Voi intanto stavate pensando: ma questo Duomo, quando sarà finito?...


Il signore discreto azzarda un'altra frasetta: (La stessa frase in tedesco).

... e le porte laterali di bronzo quando si decideranno a farle?

Il signore, visto che non rispondete, prova in un'altra lingua:

(Stessa frase in inglese).

Ora però guardate il vostro interlocutore come se vi accorgeste di lui solo in quel momento; poi levate l'orologio ed esclamate: «Porca l'oca, hin giamò i noeuv e mezza! Ciapparoo el vintiduu...»

Ma andiamo avanti nella lettura: «dopo la visita alla Cattedrale è bello salire sulla Madonnina, di là l'occhio spazia sulla vastissima pianura padana sino alle lontane Prealpi...»

Ma sul Duomo bisognerebbe andarci a piedi non in ascensore come oggidì:

...e su e gira
e gira e su
e su e gira...
e a ogni girivolta, da una feritoia, un taglio di luce viva nel camino della scaletta...
...e su e gira
e gira e su

proprio come vent'anni addietro per raggiungere il vecchio loggione della Scala.

Quanti gradini? Mah! Il loro numero era leggendario.

Così, se discorrendo qualcuno accennava all'età sua e veniva fuori a dirvi: «... e io ne ho trentacinque...» e si vedeva invece che ne aveva molti, ma molti di più, che cosa si diceva allora, ma piano, che non ci sentisse: «...e i basej del Domm!»

I gradini, quand'erano finiti, si sbucava come spazzacamini sui lastroni del tetto. Le brigatelle si disponevano a far colazione secondo la nota strofetta cantata sull'aria della Traviata: <poem> De Provenza i per e i pomm, I castegn de Venegonn Che se poeu gh'avessom famm Andarem tutt duu sul Domm A mangià pan e salamm. </porm> E ci andavano, davvero! Mangia!... Emm mangiaa! Era questo il gloria in cui finivano tutti i salmi delle gite milanesi! Sia che andassero in Bisbino o sul Mont Bar, sul Resegone o sulla Grigna dopo un sommario resoconto panoramico, la relazione invariabilmente chiudeva con un trionfale: «Emm mangiaa!»

In omaggio alle tradizioni il fascicoletto congeda la prima giornata di permanenza con questo consiglio: «Ritorniamo quindi in Galleria per trascorrervi una lieta sera nei nostri bei caffè e ristoranti, monumenti viventi della città». A dir vero Milano io l'ho già visitata, credo, nel 1908 o nel nove e ormai posso starci anche senza guardarla proprio come si fa colla gente di casa che ci accorge che ci sono solo quando dicono: «oggi non mi sento bene». Ero a Lugano, come al solito, per le vacanze. Nella casa di Montarina al secondo piano sopra di noi abitava il mio amico Pier Giorgio e sua madre. Francese la mamma, mezzo francese lui, tutti i parenti erano in Francia.

In quei giorni ne doveva arrivare uno da Orléans: monsieur Pichon, clerc de notaire. La signora Lucie aveva ricevuta una lettera: Chère cousine,

Je suis enchanté de faire ta connaissance et celle de Pierre Georges. J'arriverai à Lugano...

A Orléans era arrivata la risposta:

Cher cousin,

Nous seront à la gare a te rencontrer. N'oublie pas que nous nous y seront tous les deux, Pierre Georges et moi.

Ma Pier Giorgio era allora fidanzato e a un appello della sua Josette non potè resistere, piantò in asso il cugino che doveva arrivare e partì. La signora Lucie mi pregò di sostituirlo per non mandare a monte il riconoscimento. Alla stazione vedo un ometto con un sacco da montagna mezzo vuoto scendere dal treno. Cerca intorno la signora anziana e il giovanotto. Ci scorge e si getta nelle mie braccia:

«Cher cousin... cher cousin!»
Mi trovo Pier Giorgio!

A casa la signora Lucie ha preparato il the coi croissants del Forster. «Cher cousin... cher cousin». Sono sempre e più che mai Pier Giorgio. Infine ci si spiega. Monsieur Pichon è disilluso. Gli andavo a genio. Con lui un paio di giorni dopo e su per giù a quest'epoca sono partito alla scoperta di Milano. Siccome le nostre case erano chiuse e c'erano le fodere sui mobili così siamo andati ad alloggiare alla Croce Bianca in via Lupetta. Per prima cosa l'ho condotto in piazza e con aria convinta gli ho presentato la settima meraviglia del mondo: «Voici notre Dôm».

Non so se monsieur Pichon abbia visto le altre sei, ad ogni modo non m'è parso che la settima gli facesse molta impressione. Se i «Setti giorni a Milano» fosse venuto fuori trent'anni fa mi avrebbe certo servito. Non manca neppure di lasciare una certa facoltà di scelta al vostro itinerario. Per esempio nel pomeriggio della sesta giornata vi propone: «Una visita al Cimitero Monumentale, oppure (secondo gli umori del momento - dico io) alla Galleria d'Arte Moderna».

Non so cosa avrei scelto. Pensando a certi quadri che non nomino per non crearmi delle gratuite inimicizie, quasi quasi alla tomba dell'arte avrei preferito l'arte della tomba.