Ore di città/46
L'uomo dei moccolotti
editQuando avrò chiuso definitivamente gli occhi e avrò cessato di guardare, se non di vedere, le cose che da tanti anni mi annoiano, che diranno di me? Nient'altro che questo: «È stato il padrone di casa del pittore Tomea».
Merito non già, ma fortuna! Non mi sarà toccata miglior sorte nella vita. Fiorenzo Tomea spaventa le belle ragazze del quartiere che i suoi limpidi occhi eleggono a modelle. Di sopra si trovano nella spelonca del Mago Merlino. Quanti moccolotti e candelieri sbilenchi e mascherette rosa dalle occhiaie cave che vi guardano e teschi e piccoli fiori da campo marcescenti sui lunghi steli e qualche frutto putrido su un cartoncino e un confuso e grigio e tetro ciarpame raccolto alla vicina fiera di Sinigaglia!
Tomea la guarda un po' la sua modella, così, distrattamente e poi... sogna... e mette giù sulla tela i tratti e i colori di una maschera giallognola...
La Teresina si alza, fa due passi vicino al cavalletto, retrocede... torna a guardare e... «Mi sariss quella lì...» chiede angosciata...
... I moccolotti non fanno commenti, solo si stancano di star lì e al calore del sottotetto si afflosciano e si sfanno. Tomea li aspetta in quel punto. Sono maturi per la sua arte; ne raccoglie una ventina e te li serve in quadro, macabro piatto di portata, con guarnizione di ossa da morto e illividito dal ghigno di un teschio.
Gli opuscoletti che parlano di Tomea ex-gelatiere ce lo descrivono come una specie di Paneroni della pittura. Vi ricordate di Paneroni? A Milano nell'immediato dopoguerra si trovavano la mattina sui muri della città delle scritte così concepite: «La terra non gira... Paneroni». E altrove: «L'America è sotto l'Italia o bestie!... Paneroni». Il notturno epigrafista aveva confessato in pubbliche interviste di aver acquisite le sue verità planetarie facendo il gelatiere e andando colla sua carretta nelle ore serali e antelucane per le strade di campagna.
Il mondo in cui si vive è curioso davvero! È obeso di cognizioni, è briaco di scienza e poi ammira e si perde dietro a uomini semplici che si dichiarano artisti per folgorazione, quasi tocchi dalla grazia. Trovo poi giusto e sommamente istruttivo che la società contemporanea che si vanta di aver captato e di tenere in pugno il segreto della vita felice si rispecchi nella più disadorna, nella più cupa delle pitture.
Personalmente io sto con Tomea. La mia incompetenza non mi consente di penetrare la sua pittura ma il mio pessimismo si compiace dei modelli della sua arte dalla cera dei moccolotti alla silice dei teschi.
I due usci si guardano. Di qui c'è Tomea, di là c'è la Keller. «La giovane pittrice...» così perlomeno dovrei incominciare ma se poi non fosse più tanto giovane?... Dovrei anche dire: «La sua arte eletta...» Ma se poi la gente se ne ride dell'arte eletta?... In un mondo che si stipa in una caterva di ricchi e si illustra di ben pochi signori che cosa può fare una signora che non è ricca? Elisabetta Keller non espone da anni, non manda fotografie di suoi quadri alle riviste, nessuno parla di lei. Il critico elogiatore alluderebbe qui allo «splendido isolamento di questa artista» e «al suo lavoro silenzioso». Ma la verità è ben altra! Elisabetta Keller si adatta alle circostanze e quanto al lavoro, c'è, ma non si sa bene dove sbocchi. Nell'arte e nella vita Elisabetta Keller non ha mai il culto del passato come certuni - me compreso - ma del suo passato. Si può rimaner signorina con due figli e già grandi per giunta? Si può! La pittrice vi accoglie nel suo studio ove tutto vi parla e vi parlerebbe ancor più se lo potesse di uno spirito fine ed elegante (che bella frasetta dell'Ottocento). Essa vi intrattiene in piacevoli conversari e infine vi offre una tazzina di the!
Una tazzina di the! In queste quattro parole e nel diminutivo appare la tendenza di questa artista che si compiace di ingentilire le cose gentili. Come poi la rozzezza imperante e il grubianesimo invadente rispondano alle amabili offerte, noi lo possiamo constatare di anno in anno.
Le amiche in visita (non molte) le portano dei fiori, i fiori ornano i vasi, i fiori sono ritratti nei quadri, splendidi, viventi! La retina dell'artista ritiene ancora un aureo lume delle visioni giocose della sua giovinezza. Viveva beata e inconsapevole fra le pinte aiole della villa di Monza assistita dall'indulgenza dei pedagoghi...
«Elisabettina... Elisabettina...» ammoniva il severo professor Crespi e il maestro Appiani, dopo aver ascoltato un'esecuzione di Chopin dall'allieva prediletta, conchiudeva disperato e felice: «Gh'è nanca ona nota giusta eppur l'è lu!»
Che le valse l'intuito dell'arte e la signorilità del tratto? Il passato conta sempre per qualche cosa o pro o contro nella vita dell'uomo. La gente non ti considera se scopre che tu eri di più di quello che sei o ti pospone a chi in altri tempi faceva lo spazzacamino o il doganiere.
Io so queste cose ed altre ancora e metterei la mia vita all'incanto pur sapendo che l'asta andrebbe deserta.