Il primo punto riguarda l’esistenza di diversi modelli regionali di mobilità. In un suo recentissimo lavoro di sintesi su migrazione e mobilità in Europa in età moderna, Jean-Pierre Poussou, pur concordando sulla necessità di sottolineare l’importanza dei movimenti migratori ben prima che l’industrializzazione e l’urbanizzazione facessero sentire i loro effetti più evidenti, mette in guardia contro il rischio di sovrastimare le dimensioni di questa mobilità di antico regime e, soprattutto, suggerisce l’esistenza di forti diversità regionali non solo nel tipo ma anche nell’intensità della migrazione.[28] Le conclusioni in parte simili a cui perviene Anderson nel suo studio sulle migrazioni in Scozia devono essere motivo di riflessione. Tra il 1970 e il 1990, in alcuni campi vicini quali la demografia storica e la storia della famiglia sono prevalsi orientamenti revisionistici senza dubbio necessari e inizialmente ricchi di fermenti, ma che hanno poi teso a oscurare differenze e problemi, privilegiando le continuità di lunga durata quasi fino a sfociare in una asettica astoricità. I demografi storici e gli storici della famiglia sembrano oggi aver superato questa impasse, e sono ormai consapevoli dell’esistenza di regimi e sistemi demografici assai diversi e di un’ampia gamma di strutture familiari e di modelli di matrimonio. Che in area alpina le forme di migrazione e di mobilità presentassero forti differenze locali e regionali appare indubbio.[29] Questa consapevolezza potrà essere di aiuto agli studi più generali su migrazione e mobilità in Europa affinché evitino gli scogli pericolosi di un mero ribaltamento del «paradigma della sedentarietà».
Una seconda caratteristica importante dello studio di Michael Anderson è il suo sforzo di collegare forme e intensità diverse della migrazione e della mobilità a diversità nelle strutture sociali locali scozzesi.[30] Senza addentrarmi in una questione che meriterebbe ben altro spazio, vorrei semplicemente rilevare che l’interesse prestato tra il 1970 e il 1990 alla meccanica dei sistemi demografici, e dunque alle determinanti prossime, ha in gran parte distolto l’attenzione dalla ricerca delle determinanti ultime - ad esempio, da quell’analisi delle relazioni tra sistemi di eredità, nuzialità e migrazione che pure era stata impostata in termini molto eleganti sin dagli anni ’50 da storici economici come John Habakkuk.[31] L’articolo di Anderson segna per certi versi un ritorno a Habbakuk. Va però detto che quell’approccio, per quanto elegante, era anche piuttosto schematico. Come ha ricordato Laurence Fontaine in un suo recente e assai innovativo articolo sulla devoluzione dei beni nel Delfinato,[32] soprattutto grazie ai lavori degli antropologi è oggi possibile disporre di indicazioni teoriche più sottili riguardo alle implicazioni sia dei
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