essendo rimasto il ramo perginese con un unico erede in giovane età, gli affari furono gestiti esclusivamente dai Salvadori di Trento. Nella seconda metà del secolo, benché il patrimonio famigliare subisse ulteriori divisioni, l’impresa rimase di proprietà comune, e i membri della famiglia - una «famiglia allar¬ gata», che includeva zii e cugini - continuarono a partecipare agli affari, gestiti a fine secolo dalla quarta generazione. I Salvadori non soffrirono, dunque, della cosiddetta «sindrome dei Buddenbrook», secondo la quale le imprese famigliari tenderebbero a non sopravvivere alla terza generazione.
Nemmeno la duplice interruzione della comunione causò restrizioni alle attività originarie, benché il «capitale netto» a garanzia dei creditori - dato dalla differenza tra l’attivo e i debiti aziendali - risultasse inevitabilmente dimezzato. L’impresa aveva raggiunto, evidentemente, un sufficiente grado di solidità. Se si considera che, all’epoca, il capitale necessario per avviare un negozio serico variava dai 30 ai 60 mila fiorini,[11] la ditta trentina poteva vantare una consistenza patrimoniale di indubbio rilievo, disponendo di un capitale netto che si avvicinava ai 49’000 fiorini dopo la prima divisione, e ammontava a oltre 118’000 fiorini dopo la seconda (fig. 3).
Il tasso medio di crescita del capitale netto, ricostruito sulla base di alcuni inventari generali, mostra per altro un evidente rallentamento nella seconda metà del Settecento. Dal momento che il capitale netto include i profitti reinvestiti, la causa potrebbe essere individuata in un peggioramento della redditività aziendale, sennonché va tenuto conto anche dell’impatto che l’ascesa sociale della famiglia può avere esercitato sulle scelte di reimpiego degli utili. È probabile, infatti, che si sia verificata una maggiore estrazione di risorse rispetto al passato, per sostenere i maggiori consumi legati ad un tenore di vita più elevato, o per l’acquisizione di proprietà immobiliari. Proprio negli ultimi decenni del secolo, si registra un parziale mutamento nei rapporti tra famiglia e impresa, con la crescita progressiva del patrimonio personale dei singoli componenti, titolari di una sfera personale distinta da quella aziendale, che restava invece proprietà comune. Del resto, indipendentemente dalla partecipazione attiva agli affari, i famigliari avevano diritto a percepire una remunerazione per la porzione di assets che fornivano a garanzia delle obbligazioni sociali. Andrebbe dunque verificato se i prelievi effettuati rappresentassero o meno la giusta remunerazione per il contributo dato alla gestione e per il capitale di rischio investito nell’impresa.
Motivazioni legate allo status famigliare influenzarono probabilmente anche alcune scelte strategiche di fondo. L’abbandono di un’attività minore come