una contabilità chiara e precisa e la redazione di una corrispondenza efficace. In un contesto in cui il processo formativo era più pratico che teorico, la famiglia era in grado di fornire al futuro mercante le competenze aritmetiche e umanistiche di base, così come quell’«école sur le tas», che costituiva una parte fondamentale del percorso di apprendimento. Ma prima di partecipare a pieno titolo all’impresa famigliare, le giovani leve erano solite trascorrere un periodo all’estero per apprendere una lingua straniera e perfezionare l’uso delle tecniche contabili.[14]
Così, Valentino Salvadori (1694-1768), una volta inviato il figlio Isidoro (1721-1787) a fare pratica di mercatura ad Augsburg, si raccomandava «di farlo operare e di non lasciarlo in ocio ma il prencipalle è che si perfecioni nella scri- tura tedesca e conti». Nel secondo Settecento, ai rampolli della famiglia Salva- dori venne impartita anche un’istruzione formale, di carattere classico-umanistico, ma un’esperienza professionale in Germania rimase un requisito essenziale per coloro che erano destinati a reggere le fila dell’impresa. Difatti, anche il figlio di Isidoro, Valentino (1752-1833), trascorse lunghi periodi ad Augsburg, ospitato dai Biolley, una famiglia mercantile imparentata con i Salvadori.
Il ruolo della famiglia si dimostrò efficace anche nella trasmissione di un sistema di valori funzionale allo sviluppo degli affari. Dopo l’ingresso nel patriziato urbano, i Salvadori non abbandonarono l’attività mercantile, ma continuarono a reggere le redini di un’impresa che, allo scorcio del secolo, si presentava come la maggiore casa commerciale di Trento. Emerge, sotto questo aspetto, una differenza sostanziale rispetto al comportamento di molte case mercantili roveretane. Il distretto serico di Rovereto era infatti contrassegnato da un frequente ricambio imprenditoriale. Dopo la prima o seconda generazione, i mercanti si ritiravano dagli affari, limitandosi al finanziamento di imprese altrui o all’amministrazione delle proprietà acquisite con i proventi delle attività commerciali.[15] Lo scopo era fuggire i rischi del commercio, ma soprattutto conseguire uno status associato più al possesso che non alla produzione di ricchezza. Si trattava dunque di un problema essenzialmente culturale, per cultura si vuole intendere un complesso di idee, convinzioni, attitudini, valori e conoscenze, trasmissibili attraverso l’esperienza o l’istruzione, e in grado di modellare ambizioni e comportamenti, compresi quelli economici. Se i Salvadori riuscirono a sottrarsi per quasi due secoli al destino di molte case commerciali roveretane, ciò fu dovuto in parte alla capacità della famiglia di trasmettere alle generazioni successive un sistema di valori, che indusse i discendenti a continuare ad investire energie e capitali nell’attività d’impresa.