nell’emigrazione temporanea e stagionale delle Alpi ma viene anche registrata la loro progressiva scomparsa. Lungo tutta quell’area centrale delle Alpi italiane caratterizzata da forme circolari di emigrazione, legata perlopiù all’esercizio dei mestieri dell’edilizia, i vari relatori confermarono l’interruzione di una tradizione secolare di andirivieni. Per la Valsesia, Mario Spanna informava come si stesse rapidamente perdendo l’abitudine degli uomini di ricondurre le mogli in paese alla nascita del primo figlio, e di tornare poi periodicamente alla famiglia perché «il ritorno delle neo-mamme non si verifica più oggi con la consueta regolarità di una volta. Sovente la donna preferisce restare al fianco del marito, nella sua nuova lontana residenza.»[6] Per la Valtellina, Sertoli denunciava il caso del comune di Civo, i cui abitanti a turno, entro la stessa famiglia, esercitavano il commercio a Roma: «[O]ggi [...] in conseguenza di recenti direttive del Governatorato che non permettono di esercitare il commercio a coloro che non abbiano domicilio nella capitale, preferiscono rimanere definitivamente a Roma.»[7]
Le conclusioni di Giusti, uno dei grandi nomi degli studi geografici nell’Italia del tempo, relative alle Alpi lombarde, indicano con chiarezza i mancati ritorni come effetto degli impedimenti che nel corso degli anni Venti erano stati posti alla partenza, responsabili della rottura di quell’andirivieni stagionale, che aveva per secoli caratterizzato l’economia del versante italiano delle Alpi centrali. Giusti denunciò in egual modo per la montagna lombarda, come già aveva fatto per quella ligure-piemontese e per quella tridentina, i «gravi danni [.] che derivano dalla fermata di questo flusso migratorio», poiché le difficoltà poste alla libera circolazione davano luogo a due effetti altrettanto perniciosi: i «mancati ritorni di chi poté allontanarsi» e «un sovrapopolamento di fronte ai redditi diminuiti».[8]
La fermata dei tradizionali spostamenti stagionali era responsabile dello spopolamento perché, scriveva Giuseppe Medici per il Comasco e il Varesotto, la popolazione della Val Solda «ha una tradizione antirurale per eccellenza: sono scalpellini, muratori, decoratori, ma non montanari».[9] La stessa mentalità «antirurale» caratterizzava la Val d’Intelvi, dove gli abitanti della valle «ritornano
alla montagna al cadere dell’autunno e invece di dedicarsi all’agricoltura e alla pastorizia, preferiscono aspettare in ozio la stagione successiva». Per Medici, a favorire l’allontanamento delle famiglie contribuiva anche, in molti casi, il cambiamento degli itinerari, che da transoceanici con ritorno, a causa delle difficoltà ad ottenere passaporti e visti, si trasformavano in europei e definitivi. Egli vedeva tuttavia anche altri aspetti, come le «attitudini psicologiche della donna del montanaro», e una capacità di essere «più rapida nell’intuizione delle