questioni economiche e meno indulgente verso il passato» che contribuivano a spezzare i ritmi dei rientri e delle partenze maschili, innescando l’esodo familiare definitivo. «Quando la donna intuisce che la sua vita passerà in una dolorosa solitudine, lontana dal marito, lontana dai figli che partiranno appena atti al lavoro, allora lo spirito della sposa, della madre, si ribella, e prima che il marito abbandoni il paese nativo, si prepara a seguirlo.»[10] Molti anni dopo una testimonianza di una donna biellese, moglie e madre di emigranti, avrebbe confermato questa opinione. Emma Comazzi, vedova di Giuseppe Comazzi, nato nel 1902 a Roasio, ed emigrato nel 1923 in Costa D’Oro dove lavoravano tanti suoi compaesani, aspettò 16 anni il ritorno del marito, per dichiarare a chi la intervistava all’inizio degli anni Novanta: «L’Africa ci tolse prima i mariti e poi i figli e i nipoti [...] per chi aspetta la vita è sempre molto dura e triste [...] Sono arrivati anche i soldi è vero, ma a che servono ora?»[11] In poche frasi vengono demoliti qui due stereotipi: che l’emigrazione transoceanica fosse più facilmente definitiva che quella diretta verso l’Europa, e che le donne costituissero la parte più restia alla partenza definitiva.
Dalle indagini INEA emerge non solo l’equazione frontiere aperte, eguale a ritorno garantito contrapposto a frontiere chiuse, pari a mancato ritorno con conseguente spopolamento montano, ma anche che l’esodo posteriore alla grande guerra è stato con destinazioni europee più che nel passato e che appunto da queste nuove destinazioni, prevalentemente francesi, gli emigranti hanno smesso di ritornare. Questa informazione ci dice anche, indirettamente, che le destinazioni transoceaniche più lontane, nei confronti delle quali l’esodo era stato a lungo ritenuto come definitivo, sono state invece scelte prevalentemente per soggiorni temporanei. Tuttavia le indicazioni cronologiche che se ne possono trarre risultano solo indicative di una tendenza generale, contrastata a lungo dalla vischiosità dei comportamenti degli emigranti che, in molte località delle Alpi, continuarono ben oltre la metà del Novecento a uniformarsi a uno schema migratorio che faceva del ritorno l’obiettivo ultimo di ogni partenza.
Gente che sfidava il mondo
A tale proposito, infatti, altre fonti ci informano che mete anche molto distanti, per vari decenni, dopo l’inchiesta INEA, hanno continuato a essere oggetto di soggiorni di lavoro progettati come temporanei, e divenuti definitivi solo casualmente e contro la volontà dei protagonisti. Ancora nel 1953, rievocando la