Cuneus prophetarum/VT/1/2
[ 7 ]
SCALA .I. DISCORSO .II. COME IN TRE PERSONE È un Solo Dio. 1. La Fede Cattolica c'insegna, che Dio creatore dell'uniuerso è un solo in Natura, e tre in Persone, quali si chiamano Padre, figliolo, e Spirito Santo. A questa Santa Fede hanno preceduto le figure, e segni sino dal primo nostro Parente Adamo, ancorche sotto gran Misteri, li quali con la venuta di Nostro Signore Giesù Christo furono verificati, & adempiti, come egli medesimo dice; non veni soluere legem, aut Prophetas, sed adimplere. 2. Come questo possa essere, anche la ragione ce lo insegna: perche Iddio non può essere in alcuna maniera solo in Persona; poiche la solitudine genera ozio, il quale come cosa imperfetta, e per consequenza non convienente à Dio, essendo egli perfettissimo, in nessun modo à quello attribuir si deve: onde per necessità siamo tenuti à confessare, che Dio ab eterno hauesse compagnia, per non farlo ozioso. Ne potendo ab aeterno esservi altri, che Dio, per essere Iddio solo eterno, ne seguita, che questa compagnia altro, che Dio esser non possi. 3 Tanto più, quanto che sia cosa naturale in ciascuno il desiderare d'hauer compagnia simile à se; Omne simile appetit sibi simile, dice il Filosofo; e se bene tutte le cose nella mente divina si trovarono ab aeterno; non poteuano però apportar quel sommo gusto, e contento, che apportar suole una nobile, e cara conuersazione; atteso che dalla quella non si può, come da questa scatturire dolce, e scambievole amore: onde levando gl'Infedeli à Dio ab aeterno la conuersazione, dalla quale senza dubbio nasce la beatitudine, fanno Iddio di beatissimo, non perfettamente beato; e la natura divina fanno sterile, e come un puro tronco, senza intendere, e volere. 4 Non saria, come vn altro Nabucodonosor superbo, l'imperatore di Turchia; se almeno qualche volta non contemplasse in se stesso la sua grandezza, e potenza grande nel mondo; e che quella contemplando non generasse in se stesso, in concetto di se stesso, rispetto che all'hora con l'intelletto suo accidentalmente [ 8 ] formasse in se stesso un altro se stesso, del che ne riceua una irregolata dilettazione, d'onde poi nasca vna gran superba, e vana gloria. 5 Così non si può negare, che Dio eccelso superando tutte le creature, per essere Rex Regum, & Dominus Dominantium, con le sue ineffabili grandezze, con il suo Divino intelletto in se stesso ab aeterno contemplasse la bellezza, e grandezza della sua Maestà, e che in se stesso il concetto di se stesso generasse; essendo proprio di Dio quella sempre contemplare: dice Aristotele, che farebbe contra la dignità di quell'altissima sostanza abbassarsi ad intender altra cosa, che se stesso; il che dichiarando San Tomaso dice, che non per questo lascia d'intendere, e conoscere tutte le altre cose inferiori; perche nella medesima sua divina essenza, come in un purissimo specchio le vede tutte. 6 Di quì è, che non potendo il concetto di Dio in se stesso generato, in alcuna maniera essere accidente, come quello del sudetto Imperator Mondano; per essere Iddio semplicissimo, nel quale non può cadere accidente lacuno; ne seguita, che quello sia sostanza di Dio, per non essere in Dio composizione alcuna. 7 E se bene trà Dio generante, & il concetto da lui ab aeterno in se stesso generato, non vi è distinzione d'essenza, per essere quella indivisibile; non resta però, che di persona vi sia distinzione; atteso che altro è la persona generante, & altro la persona generata, che propriamente una Padre, e l'altra Figliuolo chiamar dobbiamo. 8 E si come non si può dire, che ab aeterno Dio fosse solo in persona; al presente manco ciò si può dire, perche d'immutabile si faria mutabile, e d'immortale si faria Dio mortale, ò quanto alla persona generante, ò quanto alla persona generata. 9 Ne punto ci deve parere maraviglia, come Dio generar possi il suo figliuolo; perche con qualche essempio delle cose naturali se non in tutto, almeno in parte, si cava qualche lume di questa verità; come sarebbe à dire: quando l'huomo si mira nello specchio, senza dubbio in quello produce la propria figura; e se in quello sempre si mirasse, quella sempre produrebbe; e se può tanto la natura, la quale da Dio hà limitata virtù d'operare, come si può negare, che Dio essendo il facitore, non solo di quella, mà degli Angioli, e di tutte le cose; mirando sempre nella sua Divina essenza non produca la sua propria figura, che altro non è, che l'unigenito suo figlivolo: come dice San Paolo Heb. 1. cap. 13. Cum sit splendor gloriae, & figura substantiae eius; la quale non potendo essere accidente, come quella dell'huomo, perche [ 9 ]in Dio, non può essere altro, che l'istesso Dio. 10 Questa è l'eterna generazione del figliuolo dal Padre in Dio; e mai è vero quello, che tanto vilmente c'imputano li Turchi; che la nostra Santa fede asserisca Dio con moglie hauer figliuolo, rispetto che la figliuolanza anche nelle creature non consiste semplicemente in essere prodotto uno dall'altro; mà in essere prodotto à similitudine del Padre, dal quale viene prodotto: per il che Paolo non si dice figliuolo di Pietro; perche da esso semplicemente viene prodotto, essendo che da esso provengono anche vermi; mà perche viene prodotto à similitudine di Pietro: così gli Alberi non sono detti figliuoli della terra mà frutti di essa, per non essere simili à quella. Hora sollevandosi spiritualmente in Dio, perche il concetto del Padre è simile al Padre, sortisce il nome di figliuolo; e perche lo Spirito Santo procede da ambedue per volontà, e non à loro similitudine; non si dice figliuolo, mà Spirito Santo, come quì di sotto si dirà. 11 Di più in questa eterna generazione essendo il padre, & il figliuolo della medesima sostanza, conchiudere dobbiamo, che dalla loro volontà ab aeterno ne risultasse un vero, e reciproco amore, il quale essendo in Dio, per la ragione detta, non può essere accidente, mà sostanza, e della medesima sostanza di Dio per non esservi in Dio composizione alcuna. Ne potendo questo amore essere distinto d'essenza, per essere quella indivisibile, come s'è detto; è necessario, che quello sia distinto di Persona, la quale propriamente si chiama Spirito Santo, proceduto ab aeterno dal Padre, e dal Figliuolo. Adunque per le ragioni sudette à confessare tenuti siamo, che Dio sia trino in persone, & uno in essenza. 12 E si come non è maraviglia, che l'Anima nostra sia trina in potenze, cioè memoria, Intelletto, e volontà; e che tre cose siano nel sole, cioè la machina solare, lo splendore, che nasce da quella, & il calore, che procede da ambedue; minor deue cagionare maraviglia, che trino in persone, & uno in essenza Iddio essere possi. 13 E si come la Memoria è Anima, l'Intelletto è Anima, e la Volontà è Anima: e la machina del sole è sole; e lo splendore, che nasce da quello, è sole; & il calore, che procede da ambedue, è sole: ne però sono tre Anime, ne tre soli; mà una sola Anima, & un solo sole: così il Padre è Dio; il Figliuolo genito dal Padre è Dio; e lo Spirito Santo, che da ambedue procede, è Dio; ne però sono treDei, mà tre Persone un solo Dio. Se si mira nello specchio un lume, [ 10 ]alquanto lontano si vedono tre lumi; e pure in sostanza non altro, che un sol lume vi è. 14 E si come la memoria genera l'Intelletto; e dall'una, e dall'altro procede la volontà: e la Machina del sole, lo splendore di quello; e dall'uno, e dall'altro procede il calore: così il Padre genera il figliuolo, e dall'uno, e dall'altro procede lo Spirito Santo. E si come alcuna di quelle cose non è prima una dell'altra, quanto al tempo, mà solamenete quanto all'origine; così alcuna delle tre persone Divine non è prima l'una dell'altra mà tutte tre sono ab eterno, & abbracciano una sola eternità: benche, diciamo rispetto all'origine loro, prima Persona il Padre, seconda il Figliuolo, e terza lo Spirito Santo. 15 Di quì è, che in conformità della Sacra scrittura, e per comprobazione di questa verità, dice Sant'Atanasio, Deus Pater, Deus filius, Deus Spiritus Sanctus, & tamen non tres Dii, sed unus est Deus; aeternus Pater, aeternus Filius, aeternus Spiritus Sanctus, & tamen non tres aeterni, sed vnus aeternus: e conchiudendo dice, in questa Trinità di persone niuna è prima, overo doppo; maggiore, overo minore; mà tutte tre sono à se stesse coeterne, e coequali, e però chi vuol essere saluo, ciò deve credere. 16 Anzi non ostante che l'Intelletto humano non possa sollevarsi ad arrivare le cose Divine senza il lume della Santa fede; nondimeno molti Pagani, & Infedeli molto s'accostarono à questa verità, ancorche parlando per altro. Appunto come se un huomo tagliasse un paro di habiti à propria misura, quali poi riuscissero ancor buoni alla vita d'altri: così gli Antichi sapienti parlando per se, e per il governo del loro paese, finalmente s'adempirono le loro parole in Christo Signor Nostro, come se per lui fossero dette. 17 Pittagora disse, che trà questo numero di tre sono molte cose occulte. Aristotele disse. Numero Deus impari gaudet. Il Trimegisto disse: Monas genuit Monadem, & in se suum reflexit ardorem; come à dire unus genuit idem in natura. Platone pure disse una parola, come se fosse uscita dalla bocca di San Giouanni. Noui unum, quod fecit omnia, & aliud, per quod omnia facta sunt. 18 Virgilio pure con li suoi versi, quali dicono l'habbia pigliati dalle Sibille: perche in poche parole mostra, che hà da venire dal CIelo una nova prole da una vergine, nominando il Padre eterno, come anche il Christo Crocifisso. Iam redit & Virgo, redeunt saturnia Regna; Egloga 4. e per lo Spirito Santo dice: [ 11 ]Spiritus intus alit, totoque se corpore miscet. 19 Ma lasciamo quello, che hanno detto li Pagani nel tempo antico; accostiamoci, ricerchiamo gli Angioli, e Santi Profeti illuminati da Dio, i quali non vi è dubbio, che parlarono molto profondamente, e sotto misterij. perche Dio volea con tempo, e con la venuta di Christo Saluatore, vero Messia, mostrarsi, e scoprirsi al Mondo, come è in se, acciò l'huomo credendo grandemende meriti: Credidit Abraham, & reputatum est ei ad Iustitiam, Però hora li Dottori della Santa Chiesa doppo essere le profetie adempite nella persona di Giesù Christo Signor nostro, le spiegano, chiaramente, mostrando, come si devono credere, & osseruare. |
[ 7 ]
SCALA .I. LIGIERATA .II. SI ANSCTE NDER TRE VETE Gnia i vètèmi Hȣj. 1 Feja Cattoliκè na mpson, sè Hȣji κrijues' i giξξè scecuλit, ansctè gnia ndè Natȣre, e tre ndè vètèt, t' sijλt' ξξonè Ati, Biri, e spirti scènjt. Κèssaj scènjtè Fèe i κanè prim pèrpara scèmbèλtȣrètè, e scègnè, ndjèrè sè parit Prindit sinè Adamit; ndonèsè ndènè tè forta mistèria, tè sijatè ani me t' arξunitè ɛotit tinè Jèsu Chrisct', κjènè vèrtètunè, posi aj vètè ξξotè. Nuκè jam arξune me c'prisciunè lijnè, ò Profètètè, pò me i mbusciunè. 2 Si munè jètè Κèjo punè, endè arrèsȣèja nae mpson. Pèrsè Hȣji nuκè munè jètè as mbè ndogni mèndȣrè vètèmè, ndè vètèt: pèrsè vètèmjèt bijn tè n' cotètè, tè sijλtè, possi cafsè, e pa tè mirè nuκè mundetè me κjanè ndè Tènèɛonè, chi ansctè giξξè sej pèr tè plotè i mirè ndè vetèhè, e Prasctu jèmi mbajtunè me rèfȣèm, sè Hȣji jètèt sè jetèsè ansctè sciochiènuèm pèr tè mose bam tè n' cotè. E tue mos mujtunè jètet sè jetèsè me κjanè tjetèr jasctè Hȣjit, tue κjanè vecè Hȣji i amèsciuèscim, andaj vjen se κèjò sciochiènij tjetèr sè Hȣji nuκè munè jetè. 3 Achià ma tèpèrè sè giξξè cusc pèr natȣrè dèscèron sciochenij mbè gassètè vèt. Giξξè cafscia pèr hie geɛohete hijet se vet, ξξotè Filosofi; e ndonèsè giξξè cafscia ndè mèndtè Timèɛot κjè pèr scèmbèλtȣrè jetèt sè jetèsè, as gia mangu nuκè mujtinè Tinèɛot me i κjanè pèr achia gaɛèmènd', e scijè, possi cur κa ɛacon me ù gèɛuèm sè dasciunè gnij ɛotènèscè sciochièniè; pèrsè assojè nuκè mundètè me rjeξunè possi κessoje huaɛa gni tè amblè, tè dasciunè. Andaj tè pa Fètè tue hjeκunè κètè sciochiènij, tè dasciunè Hȣjit jetèt sè jetèsè, mbè tè siλèt chièndron Parrisi, e tè lumt' e tijnaj, pa ndogni tè ndèrdȣm; bagnènè tè lumnè ɛot tè pa Parris, e pa tè lum: e natȣrèn' e Hȣjènuèscimè tè tijnaj, tè sctèrrè, e tè pa frujt possi gni Trunc', tè pa ndèghuèscim, e tè pa tè dasciunè. 4 Nuκè κisc me κjanè possi gni tjetèr Nabucodoɛor maξesctuer Perendia i Turchijsè, cur ndè mossè hèrè hèrè tè mos uintè roè ndè vètèhè tè maξt' e vèt mbè κètè jètè; e tue vum roè asctu tè leentè ndè mènd scèmbèsetȣrèn' e vetèuehèsè, pèrsè atèhèrè me mèndtè vèt, chi venè, e vi: gnènè, goditèn ndè vètèhè gni tjetèr vètèhèhè [ 8 ]sè siλet ani tue ù gèɛuèm paκuèr fort zpiffèt', e bijn gni maξèsctij, fort, e pa uξè, e laud i pa rnèssè. 5 Asctu endè pèr tè gni mendè Hȣji naltè tue κapèrzȣèm giξξè Crèatȣrètè, pèrsè ansctè Regij Regièt, e ɛotij ɛotenijet, me tè maξtè vèt tè pat' caλèɛuèmit', me mèndtè vèt tè Hȣjènuèscimènè, ndè vètèhè jètèt sè jètèsè tè vintè roè bucurijnè, e tè maξt' e t' naltit vèt, ani ndè vètèhè scèmbèλtȣrèn' e vètèhèsè tè leèn: tue prèκunè vècè Tinèɛot atan' me cujtuèm. Posi ξξà Aristot. sè κisc me κjanè cundra ɛotènijsè randè t' atij t' κjani t' nalti, meu prugniunè, e me vum roè, e me cujtuèm tjètèr cafscè jasctè vètèhènè; tè siλènè cafscè tu'e ctièλè Scè Thoma, ξξotè sè jò prasctu nuκè vèn' roè, e gnièf tè tjèratè cafscè ndènè vètèhè: pèrsè ndè tè κjanètè vèt tè Hȣjènuèsciminè possi ndè gni Passèchȣrè fort tè dèlirè, giξξè cafscèrè gnièf, e vèn' roè. 6 Κèndȣj ansctè sè scèmbèλtȣra e Hȣjit ndè vètèhè lèm, nuκè muodètè me κjanè, e me mos κjanè possi ajò pèrsipèri, e Pèrèndijsè κèssaj jètè: tue κjanè Hȣji pa dam ndè vètehè, ndètè sijλt' giξξè cafscia anscte gniai sè κjani sè pa dam, tue mos κjanè ndè Hȣjt cafscè, e mbèlèξè, e ngittunè. 7 Endonèsè ndèr Hȣjt' leès', e scèmbèλtȣrètè tijnaj jètèt sè jètèsè lèm ndè vètèhè, nuκ' ansctè tè dam ndè tè κjanèt, tue κjanè i pa dam curraj: jò prasctu jèt pa mos κjanè gni tè mposè ndè vètèt: pèrsè tjètèr ansctè aj κahè len, e aj chi len: andaj κahè len scèlmbèλtȣra i ξξonè Ati, e scèmbèλtȣrèsè chi lèn, i ξξonè Bijr. 8 E si cundèrsè nuκè munè ξξoèmi sè jètet sè jètèssè Hȣji κjè vètèmè ndè vètèt; asctu tasc èndè nuκè mundèmi me ξξanè: pèrsè Hȣjnè chi sκa curraj tè ndèrruèm, κiscim me bam tè ndèrruèm, e tè duèκunè, ndè atè κahè lèen, ndò atè chi lèn. 9 Nuκè duhètè κèsso punèjè meu mbrecuλuèm, si munè lègnè Hȣji Bijrr' e vèt: pèrsè me gni scèmbèλtȣrè, tè κèssaj jètè ndè mos pèr tè plotè, ndoscta gni pjèsè drittèjè en' zièrrimè κèsso sè vèrtètèjè. Possi cur me ξξanè cur njèrij soditètè ndè Passèchȣre pèr tè vèrtètè lèn ndè tan' scèmbèλtȣrèn' e vèt: e me ù soditunè pa mènguèm curraj; asctu endè pa mènguèm curraj, κisc me lèm scèmbèλtȣra. Κurpra mundètè achià natȣra, essiλa prèj sinèɛot κa vèrtȣt tè sossunè, si mundèmi mej ram mboh, sè Hȣji Crijues, jò vecèssè i Natȣrèssè; pò endè i Engijèt, e i giξξè cafscèuèt, tue ù soditunè giξξè hèrè ndè tè κjanètè vèt, ani tè mos lèn scèmbèλtȣrèn' e vèt isiλi ansctè gnij vètèmi Birij tijnaj. Posi Scè Pali Heb. I. cap. 13. Tue κjane reɛa, e ngusceλimit, e scèmbèλtȣra, e vètèhèsè. Esiλa tue mos mujtunè me κjanè dam Hȣjit, possi ajò, e nièrit; pèrsè ndè Hȣjt nuκ' ansctè tè daam, andaj ξξomi se ansctè gniaj sè κjani sè dèliri me Hȣjt, [ 9 ]pèrsè giξξè chisc gindètè ndè Hȣjt nuκè mundètè me κjanè tjètèr vècèssè Hȣj. 10 Gniè κèta ansctè tè lèmit' e amèsciuscim, tè Birit prèj Atit ndè Tènèɛonè, e curraj, e vèrtètè nuκ' ansctè ajò zpiffè, e Turchièt achià, e ξunuèscimè chi ξξonè, sè sè scejtèja Fèja jonè ξξotè sè Hȣji, me gruè lèn' Bijrrè vèt: pèrsè bijenia, endè ndè Crèatȣrètè κèssaj jètè; nuκè chièndron prasctu sè gni cafscè leèn, ò del prèj sjètèrè: pò cur leèn mbè scèmbèλtȣrètè Atit κahè leèn; pò prasctu Palit, nuκ' i ξξonè birij Piètrit, pèrsè vecè del prèj sì: pò pèrsè leèn mbè scèmbèλtȣrèt', e ghassètè Piètrit: pèrsè prèj assì dalènè endè κrȣmbat' e Plesctatè; pò pèrse lèen mbeè scèmbèλtȣrètè Pietrit, asctu endè lissavèt nuκ ù ξξonè Bijt' e ξèut; pò frujti j ξèut, pèrsè nuκ' janè mbè gassètè ξèut. Tasc tue ù nalzuèm pèr spijrt' prèj sinèɛot; pèrsè cujtimi i mendsè, ansctè mbè gassètè mèndsè, chi ansctè Hȣj, i ξξonè Birij, e pèrsè spirti scènjt rjèξ prèj sè dȣsc pèr volèndèt, e jò mbè gassètè tȣnè, nuκ' i ξξonè Bijr, pò spijrti scènit, possi κètu pèrfundi κa me ù ξξanune. 11 Asctu endè κèta tè lèm t' amèsciuescim tue κjanè Ati, e Biri, gnij sè vèrtèti, sè κjani; duhètè me ξξanè sè prèj volèndètjèt sè tȣnè jètèt sè jètèsè, κa muguλuèm, gni tè vèrtètè, tè dasciunè ndèr tè dȣ, isiλi tue κjanè ndè Tènèɛonè, pèr sa κèmi ξξanè pèr sipèri, nuκè mundètè me κjanè, e me mos κjanè; pò gni tè κjanè tè nguλè, e t' vèrtit, t' κjanit sè Hȣjit; pèrse ndè Tènèɛonè nuκè anscte cafscè, e mbèleξè; as tue mujtunè κèta tè dasciunè, me κjanè dam sè κjanit sè Hȣjit, chi ansctè i pa dam; possi ansctè ξξanè; duhètè pra me κjanè mpossè ndè vètèt', t' sijλt' mirè fiλi, i ξξonè spijrti scènjt rjèξunè jètèt sè jètèsè prèj Atit, e prèj Birit. Achià pra sa, pèr chisc κèmi ξξanè, dètuer jèmi me rèfȣem, sè Hȣji ansctè ndè trè vètè gni ndè Natȣrè. 12 E si cundèrse nuκ ansctè mrècuλè sè spijrti ȣnè ansctè n' trijsc ndè pusctètèt; tè sijatè janè tè pomendunitè; tè ndèghuemitè, e volendètja: E sè trij cafscè janè ndè Dièλit, te siλatè janè rota e Dièλit, rèɛa chi lèen prèj sojè, e tè nzètitè, chi rjèξ prèj sè dȣsc: ma paκ duhetè meu mrècuλuem, sè ɛotȣnè ansctè ndè trè vètè gnia i vetèmi Hȣj. 13 E si cundèrse tè pomendunit' ansctè spijrt; tè ndeghiuèmit' ansctè spijrt; e volendètja ansctè spijrt'. E Rota, e e dièλit, ansctè Dièλij; Reɛa chi lèen prèj sì ansctè Dièλij; e tè nzetitè chi rjèξ prèj sè dȣsc ansctè Dièλi; asprasctu janè trè spirta, as trè Dièλa: pò gni spijrt i vètèmè, e gni Dièλij vètèmè: Asctu Ati ansctè Hȣj, Biri prèj sì lèm ansctè Hȣj, spirti scènit isiλi rjèξ sè dȣsc ansctè Hȣj, e jò prasctu janè trè Hȣja; pò trè vètè, e gni vètèmi Hȣj. Me pam ndè gni Passèchȣrè, gni drittè paκèɛe larg, [ 10 ]κiscinè me ù duκunè trij dritta, as già mangu pèr tè gni mendè nuκ' ansctè vecè gni drittè. 14 E si cundèrse prej sè pomèndunit lèen tè ndèghjuemitè, e prej gnianit, e t' jetèrit rjèξ voλèndetja; e prej corpit sè Dièλit lèen dritta e tijnaj, e prej gnianit, s' jetèrit rjèξ tè nzetitè. Κèsctù Ati lèen Birrè, e prej gnianit, e t'jetèrit rjèξ spijrti scènit. E sicundèrse as ndogniana, asso cafscè nuκè ansctè gniana pèrparà s'jetèrèse ndè mot, vecè pèr tè lèen, e tè ndèghiuem asctu endè tè tre vetètè ndè Tènèɛonè, nuκ' ansctè as ndogniani pèrpara tjetèrit; pò tè tre vetètè janè jetèt sè jetèsè, e reξξojnè gni jetè t' amèsciuèscime: ndonèse ξξomi pèr tè lèem i pari vetè ansctè Ati, i dȣjti Biri, e i treti spijrtj scènjt. 15 Andaj pèr tu gnimendunè me tè scruèmit scènjt', e pèr tè forzuem tè derejtènè ξξotè Scè Atanasi. Hȣji Ati, Hȣji Bijri, Hȣji spirti scènit. Ma jò tre Hȣja pó gni Hȣj: I amèsciuescim Ati, i Amèsciuescim Biri, i amèsciuescim spijrti scènit; ma jò trè t' amesciuescim, pò gni amèsciuescim. Mbè tè mbaruèmit ξξotè: ndè κèta tre vetè tè Hȣjit, as ndogni ansctè i parè, ò i mbram: ma i maξ, ò ma i voghèlè; pò tè tre janè ndè vetèhè tè gni mènde, e t' amèsciuescim. Prasctu cusc dò me scèlbuem κèsctu duhètè me bessuem. 16 E ndonèssè mèndja e Nierit nuκè mundètè me ù nalzuem, e me mbèrrijm cafscètè Hȣjenuescime pa drittètè scenjtesè Fèe: asgia mangu sciumè tè Peganè, e tè pa Fèe jù avitnè κèssaj sè derejtè ndonèsse tue folè pertè tjera punè; Possicur, se gni Nierij, tè prit gni par Petèκa pèr massètè vet; ani tè delinè ende tè mira pèr sctattè tjerèue, κèsctu tè dijtèscimit' e parè, tue folè pèr vetèhe, e pèr gouernimtè ξèut vet: ndèvonè ù mbuscnè fjaletè tȣnè ndè Chriscnè ɛotnè tanè possicur t' iscinè ξξanè pèr tant'. 17 Pitagora ξξà se ndè κètà tè gniehunè tè trijve, janè sciumè cafscè tè n' fsceffuna. Aristoteli ξξà: Sè gniehuni supp' gheɛon Hȣji. Trimegisti gnia leù gnia, e ndè vetèhe droξ tè dasciunit' e vet; possicur tè ξξoj, gnia leù vetèhenè ndè natȣrè. Platoni ende ξξà gni fjalè possicur t' isc dalè gojèt sè Scè Gionit. Gniofta gnia chi bani giξξè, e t' jetèrènè, me tè sijet giξξè cafsca ù baa. 18 Virgilij ende me vjerssitè vet, tè sijtè ξξonè i muer prej Sibillasc; pèrse ndè paκ fjale caλèɛon se κa me arξunè prej Chièλscit, gni Dialè n' vergineje, tue pomendunè Atèn' e pusctuescim asctu ende Chrisctnè goscduem. Dial' i bucurè, si luleja κèrξij, Egloga 4. e pèr spijrtinè scenjt ξξotè: [ 11 ]Spirti me corp' pèrɛiem, forzon, e ruen. 19 Ma laamè chisc κanè ξξanè tè Peganetè ndè mottè scκuem auitemi, e schȣrètojme Engijtè, e scenjtenitè Profetè, ndrittunè prej sinèɛot, tè sijtè vèrtet folnè fort mbèluem e κξeλè ndènè Misteria. Pèrsè ɛotȣnè doj me mot, e me t' arξunitè Chrisctit Scèlbues t' vèrteti Messirij meu deftuem, e meu zbeluem mbaaλè giξ scecuλit si ansctè ndè vetèhe, chi nierij tue bessuem, ta κisc pèr tè merituem. Bessoj Abrami, e jù mbaiti pèr tè maξe tè derejtè. Prasctu Dottorètè S. Κiscè mbassi κjenè Profètijtè mbusciunè ndè Jesu Chriscnè ɛotnè tanè, i c' tieλenè, e mirè fiλi caλeɛojnè, si duhetè me i bessuem, e me i mbajtunè. |